Una risposta ad Angelo Bertani. I partiti si riformano cambiando la forma di governo.
Accolgo integralmente l’invito di Angelo Bertani http://www.c3dem.it/6774 per una discussione non irrigidita da eccessi di sicurezza e schematizzazioni ideologiche. Non senza timore, visto il peso degli interlocutori, rilancio con un paio di considerazioni. Una prima considerazione. Appare un po’ singolare il percorso argomentativo dei difensori della forma di governo attualmente prevista dalla costituzione. Per qualche tempo si è provato a usare la riforma della legge elettorale come equivalente funzionale della riforma costituzionale. Cambiare il porcellum, si è detto, è il vero e democratico obiettivo. Una legge elettorale seriamente riformata sarebbe lo strumento per rimettere in moto il sistema politico, sanandone i deficit di rappresentatività e di decisionalità. Al massimo si aggiunga qualche misura di razionalizzazione nel rapporto tra governo e parlamento, l’abolizione del bicameralismo perfetto e la riduzione del numero dei parlamentari. Ma la forma di governo no, quella non si può toccare. Cambiare quella significherebbe trasformare tutta la costituzione in macerie da rimuovere. Tuttavia da qualche tempo lo schema dei difensori della costituzione è cambiato, andando anche oltre l’opposizione tra legge elettorale e forma di governo. Ora lo schema sembra contrapporre il vertice alla base della piramide costituzionale. Non ci si deve occupare di forma di governo (il vertice) ma di partiti (la base). E partire con il riformare quelli, soprattutto la loro vita interna. La democrazia si riforma dalla base: il vertice segue. Fatta questa riforma si potrà pensare a qualche ritocco costituzionale. La seconda considerazione. I partiti sono uno dei mattoni fondamentali dell’edificio costituzionale, anche se non possiamo pensare che ne siano ancora le uniche fondamenta materiali, come poteva essere 70 anni fa. Il quadro delle fondamenta materiali della nostra costituzione si è andato modificando, in qualche modo pluralizzando, al di là della stessa nozione – ancora troppo uniforme – di fondamento materiale. E tuttavia non conviene partire di lì per cercare di porre rimedio ai limiti del nostro sistema di governo. Per un verso infatti sono le caratteristiche attuali dei partiti e del sistema di partito a dirci cosa conviene andare a toccare della nostra forma di governo. Dal che, per semplificare, partiti e sistema di partito deboli impongono rafforzamento e legittimazione diretta dell’esecutivo e dei suoi poteri sul circuito governo-parlamento. Per l’altro è il sistema di governo effettivo, cioè le caratteristiche istituzionali del triangolo elettorato-governo-parlamento, a condizionare non solo l’assetto del sistema di partito ma perfino le modalità della vita interna dei partiti e, soprattutto, della competizione per la leadership. Se i partiti sono organizzazioni che essenzialmente funzionano per selezionare classe politica per vincere le elezioni e per compattare le relazioni tra governo e maggioranza parlamentare tra un’elezione e l’altra (o, dall’opposizione, per controllare questo processo facendo emergere migliori leader e migliori idee di policy da sottoporre al voto alla successiva scadenza elettorale) ecco, se i partiti sono questo allora intervenire sulla forma di governo significa “dare le carte” per la riforma dell’organizzazione dei partiti, e in definitiva dei partiti nel loro insieme. Per riformare i partiti occorre dunque intervenire sulla forma di governo. La sostanziale conferma del parlamentarismo italian style, vittima del timore del potere decisionale del governo, continuerà infatti a produrre partiti fortemente divisi, attraversati da una logica coalizionale estremizzata, più facilmente condizionabili dai gruppi di interesse, sempre in movimento per ridurre i poteri del leader non certo a vantaggio di un’astratta base quanto di una più concreta oligarchia interna. Una limpida e ben congegnata riforma semipresidenzialista porrà le condizioni istituzionali per partiti coesi, semmai divisi dalla ricerca di una migliore logica governativa, con leader effettivi e responsabili verso la base elettorale. Ecco perché il dibattito impostato come alternativa tra il cominciare dal vertice o dalla base non convince. Occorre cominciare da ciò che condiziona piuttosto che da ciò che è condizionato se si vuole realmente riformare il nostro sistema politico, le nostre istituzioni di governo e il nostro sistema dei partiti, restituendogli il profilo costituzionale di “soggetti della democrazia”.
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