Tonini al Senato su Zaccagnini
TONINI (PD). Signora Presidente, anche il Partito Democratico si associa a questo ricordo di Benigno Zaccagnini, morto esattamente 25 anni fa - il 5 novembre del 1989 - quattro giorni prima della caduta del muro di Berlino. La storia politica di Zaccagnini, in qualche modo, è racchiusa in tutta la vicenda della prima Repubblica, dai suoi albori con la resistenza fino alla caduta del muro di Berlino che rappresenta una cesura storica per il mondo e per il nostro Paese. Di Zaccagnini non si può non ricordare la formazione cattolica nella FUCI di Bologna, dove conobbe Aldo Moro, poi l'impegno nella Resistenza con il nome simbolico, il nome di battaglia, di Tommaso Moro, e poi l'elezione a deputato costituente e parlamentare dal 25 aprile del 1948 fino alla sua morte: una lunga fase di impegno alla Camera dei deputati e poi una legislatura e un pezzo al Senato della Repubblica. Di lui non possiamo non ricordare la vicenda più tragica che ha segnato la sua vita: quella del rapimento e poi della barbara uccisione di Aldo Moro, il suo amico e maestro da sempre. Tuttavia sarebbe un errore consegnare Zaccagnini soltanto alla vicenda della prima Repubblica, pur con tutta la grandezza di quella pagina della nostra storia perché Zaccagnini è stato anche - forse suo malgrado perché fu protagonista di una pagina di storia della quale, in quel momento, forse ancora non si coglievano tutte le conseguenze - anticipatore di qualcosa che poi è accaduto in seguito. Non so se lui sarebbe contento di sentirselo dire ma Benigno Zaccagnini è stato, per certi versi, il fondatore del bipolarismo italiano del periodo successivo. Il bipolarismo nato nel 1994 con le prime elezioni tenutesi con il sistema maggioritario della storia della Repubblica, quando Benigno Zaccagnini non c'era più, si potrebbe dire che era stato concepito ben 18 anni prima, agli inizi del 1976, al XIII congresso nazionale della Democrazia Cristiana. Al Palasport dell'EUR di Roma i delegati si confrontarono per la prima volta con l'elezione diretta, alla presenza di una vasta platea di militanti che erano anche per certi versi tifosi perché facevano un tifo da stadio, due candidati alla segreteria - appunto Zaccagnini e Forlani - portatori di due diverse linee politiche e anche di due diverse mediazioni politico-culturali della comune identità democratico-cristiana dietro ai quali si erano formate due coalizioni vaste e in una certa misura anche eterogenee di correnti, territori, leader. Fino ad allora, nella DC le diverse componenti si erano pesate nei congressi eleggendo un consiglio nazionale in modo rigidamente proporzionale e in quella sede un segretario non era nulla di più che un primus inter pares, più garante dell'equilibrio, sempre provvisorio, tra le correnti che vero leader del partito. Il manuale Cencelli presiedeva, con la sua cinica saggezza, alla spartizione discendente del potere nel partito, al Governo e nel sottogoverno. L'unico che aveva provato, 15 anni prima, a cambiare in senso presidenziale questa rigida costituzione materiale era stato Amintore Fanfani che aveva tentato, appunto, ma senza successo. E tuttavia, tra il 1974 e il 1975, appesantita da trent'anni di Governo senza ricambio, logorata anche moralmente dal succedersi di scandali, in crisi con i suoi alleati tradizionali, la DC aveva conosciuto una grave crisi di consenso che rischiava di farle perdere il suo primato elettorale a favore del Partito Comunista. Bisognava dunque cambiare e la DC cambiò: nel luglio del 1975 il consiglio nazionale elesse segretario del partito l'onesto Zaccagnini, e poi decise di andare a un congresso di tipo nuovo, all'insegna della partecipazione degli iscritti e del loro potere di decidere non più una delega in bianco a un capocorrente, ma una piattaforma congressuale collegata a una coalizione e a un candidato segretario. Fu uno scontro all'ultima tessera e all'ultimo delegato e Zaccagnini vinse. Per la prima volta la DC aveva un segretario voluto dal suo popolo e non più frutto delle alchimie di palazzo. Cambiò la Democrazia Cristiana, ma cambiò in qualche modo la politica italiana da allora, e credo che sia giusto ricordare questo passaggio storico 25 anni dopo la morte di Zaccagnini, anche perché la storia poi avrebbe preso una direzione diversa da quella da lui sperata. La degenerazione del pentapartito aprirà la strada a Tangentopoli, a una DC privata dal crollo del muro di Berlino del residuo collante anticomunista, e diventerà l'epicentro del terremoto politico italiano che porterà poi al nostro bipolarismo difficile. Ma proprio ora che nella tempesta le rotte dei riformisti si sono reincontrate nell'ambizioso progetto del Partito Democratico, la meditazione di Zaccagnini, la sua spiritualità del limite della politica, insieme alla tensione e all'incontro in un umanesimo, sono altrettante suggestioni che sono tornate davanti a noi, che parlano alla nostra speranza ancor più che alla nostra memoria. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Susta e Bianconi).
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