To switch in time to save nine (fifteen in Italy)

Se in Italia avessimo una classe politica autorevole, moderata e legittimata potrebbe finire come nel 1937 negli Stati Uniti. Con uno stop all’attivismo giudiziario. Ma le cose non stanno affatto in questo modo. E forse in questa fase meglio così dal punto di vista degli equilibri. La sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale apre però tre questioni: fare i conti con questa Corte; fare i conti con questa sentenza; fare i conti con le prossime elezioni. Fare i conti con questa Corte, meglio con le funzioni della Corte nel nostro paese. C’è un analogia di sistema, dice qualcuno, con il Presidente della Repubblica: quando il circuito parlamento-governo si inceppa è ovvio che altri poteri, anche diversi tra loro, ne prendano temporaneamente il posto. Questa lettura omeostatica vince ma non convince: come per il Presidente della Repubblica così per la Corte occorre inventare meccanismi di responsabilizzazione istituzionale. Non sono possibili poteri senza responsabilità. Tra questi meccanismi non c’è solo il voto degli elettori: l’accountability, come si dice in gergo, è molto più larga della responsabilità elettorale. Ecco alcune idee per i prossimi riformatori costituzionali, se mai ne avremo nei prossimi anni. Introdurre meccanismi di scrutinio pubblico in sede di nomina dei giudici costituzionali: chi sono, quale la loro storia professionale, quali posizioni hanno assunto nella loro carriera sulle questioni costituzionali più importanti. Prevedere una preclusione assoluta per nomine o elezioni ad incarichi politici e politico amministrativi successivi al completamento del mandato. Rendere pubbliche le opinioni dissenzienti e concorrenti dei singoli giudici, pur conoscendo il dibattito sui pro e i contro di questo strumento. Sia o no transitorio e intermittente, il ruolo politico della Corte ha bisogno di meccanismi di responsabilizzazione. Fare i conti con questa sentenza. Dalla discutibile sentenza 1/2014 – che, lo ricordo, ha trasformato la vecchia legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza e liste di collegio bloccate in una legge elettorale proporzionale senza premio e con voto di preferenza – siamo entrati in una stagione di “iperattivismo giudiziario” della Corte: ben oltre la sua tradizione la Corte scrive le leggi che servono a coprire i vuoti creati dalle sue dichiarazione di non costituzionalità. Facendo dunque molto di più di quello che gli chiede la costituzione. E ammette come legittima una forma tutta italiana di ricorso diretto alla Corte che nel nostro sistema non è previsto: si instaura un giudizio sostanzialmente fittizio di fronte a un giudice ordinario al solo scopo di porre una questione di costituzionalità e il gioco è fatto. Con la benedizione della Corte. Fare i conti con le elezioni. Al netto degli indispensabili ma improbabili interventi di manutenzione costituzionale appena accennati, abbiamo oggi un sistema elettorale scritto dalla Corte, espressamente dichiarato dagli stessi giudici perfettamente funzionante – con una postilla nel comunicato ufficiale della sentenza che sembra un segnale politico – e formato da due strati. Un primo strato proporzionalistico, sia alla Camera che al Senato, con le differenze imposte dalla Costituzione in ordine ad una qualche rilevanza dei territori regionali per l’elezione del Senato. E condito da soglie di sbarramento (se non raggiungi un minimo di voti non hai seggi) un po’ diverse, per capirci più basse alla Camera e più alte al Senato, con un implicito effetto disproporzionale al Senato. Poi un secondo strato maggioritario (chi vince con almeno il 40% dei voti ha la maggioranza dei seggi assicurata) che funziona però solo per la Camera. Un sistema a corrente alternata ma potenzialmente convergente: convergente in basso verso la proporzionalizzazione: non scatta il premio alla Camera e torniamo ai governi a formazione parlamentaristica. Oppure in alto verso la governabilità: scatta il premio alla Camera, è probabile scatti anche un parallelo effetto trascinamento al Senato favorito dai piccoli marchingegni disproporzionali e abbiamo maggioranze e governi scelti dagli elettori. Con qualche inevitabile compromesso, per altro non raro se pensiamo a tutte le Camere Alte delle democrazie parlamentari. Si può dunque votare in un quadro di piena funzionalità e coerenza costituzionale. Tutti coloro che hanno frenato in questi due mesi (sinistra estrema, sinistra PD, franceschiniani, mattarelliani, berlusconiani, establishment vari) hanno ormai un’arma spuntata. Ma il combinato disposto – come amavano dire i sostenitori del NO – dell’esito conservatore del referendum e della sentenza manipolativa della Corte, rende la governabilità e la forza decisionale della nostra democrazia parlamentare una scommessa e non un inderogabile requisito. Nel frattempo un governo di risulta come quello di Gentiloni può soddisfare le aspettative consociativistiche di molti ma certo ci rende evanescenti sul fronte dell’Unione e su quello internazionale. Né si profila all’orizzonte la capacità di costruire una maggioranza parlamentare per votare una legge elettorale che migliori in un modo o nell’altro la legge elettorale scritta dalla Corte. Saranno gli elettori a decidere se chiudere la transizione istituzionale del paese all’indietro o in avanti.

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