Ruinismo e dossettismo

Su Europa del 25 gennaio si torna a parlare di ruinismo. Massimo Faggioli, partendo da un’analisi della prolusione di Bagnasco al recente Consiglio permanente della CEI, individua tre limiti nella presidenza di Ruini. Il verticismo e il monopolio della presenza pubblica della Chiesa italiana; la tolleranza verso la cultura del potere di Berlusconi; l’indebolimento della funzione di equilibrio e di garanzia della Chiesa cattolica nel sistema politico culturale italiano. Quest’ultimo, secondo Faggioli, è la conseguenza dei primi due. Non solo. Il ruinismo avrebbe prodotto una delegittimazione del cattolicesimo democratico, della scelta religiosa dell’Azione cattolica, di Dossetti o del dossettismo politico. La lettura di Faggioli non mi convince. Soprattutto non mi convince l’alternativa - appena mitigata dal riferimento più generale all’Azione cattolica - tra ruinismo e dossettismo: non è questa, infatti, la linea di frattura che attraversa oggi il mondo cattolico, in relazione al ruolo della Chiesa e al versante politico. Il ruinismo è un fenomeno complesso, frutto di un passaggio storico inevitabile del post concilio in Italia e allo stesso tempo non privo di debolezze e forzature. Il dossettismo, qualche volta anche oltre Dossetti, è una corrente che ha segnato la storia politica ed ecclesiale ma che contiene elementi ideali e pratici del tutto inutilizzabili nel quadro attuale e che, anzi, portano oggi all’immobilismo. Ruinismo fenomeno complesso, si diceva. Innanzi tutto sgombriamo il campo da un equivoco, non direttamente presente nel pezzo di Faggioli ma contiguo al suo ragionamento. In nessun modo il ruinismo è riconducibile ai tratti del clerico moderatismo, al contrario di quanto è possibile constatare nello schieramento politico del centrodestra. Qui cade, secondo me, una prima equazione di Faggioli: Ruini tollerante nei confronti di Berlusconi. In realtà la navigazione di Ruini e della CEI nel contesto politico italiano va letta non in astratto ma in relazione al panorama dell’offerta politica. Offerta politica alla quale Ruini non manca di dare il suo contributo, certo, e in forme in qualche caso dirette. Si pensi al referendum del 2005 sulla fecondazione assistita, all’omelia per i funerali dei caduti di Nassiriya, alla posizione sull’applicazione dell’art.1 della legge 194 o alla recente dichiarazione a favore di una chiusura della transizione istituzionale italiana alla luce dei principi di federalismo, rafforzamento dell’esecutivo e sistema elettorale maggioritario. Ma non direi che Ruini tollera Berlusconi: prende atto di una tendenza dell’opinione pubblica italiana, e dello stesso mondo cattolico, e vi apporta originali e scomodi contributi. Non segue ma anticipa. E’ un leader trasformatore non un leader negoziatore. Un leader cattolico liberale conservatore, l’ho già detto in questo blog, capace di produrre consistenti effetti di trasformazione, secondo una declinazione del termine conservatore che nel nostro paese dovremmo imparare a modificare, abbandonando l’equazione tra conservatore e difensore dello status quo. Un leader che si districa tra clerico moderatismo e laicismo, accettando di giocare “in attacco” nella lunga transizione politico ecclesiale del paese, evolvendo da un iniziale atteggiamento più difensivo: pensiamo alla “lucida” resistenza  – in un’ottica demo­cri­stiana – alla prima stagione dei refe­ren­dum elet­to­rali. Un leader che forse avreb­be meri­tato “competitori” altret­tanto effi­caci, capaci di visione e di governo, sia sul piano ecclesiale che su quello politico. Tuttavia in questa cornice non mancano, a mio avviso i punti di debolezza e le forzature. A partire da una lettura unilaterale della presenza pubblica dei cattolici nella società italiana, tutta condotta secondo un’ermeneutica della rottura. La storia dei cattolici, dopo il faticoso primo post concilio, sembra partire  per Ruini dal convegno ecclesiale di Loreto (1985) e in particolare dall’intervento in quella sede di Giovanni Paolo II. Un intervento che Ruini traduce in termini di centralizzazione e di visibilità mediatica, spinto anche da dinamiche di tipo strutturale (l’attuazione del nuovo Concordato) ma con indubbie forzature. La presenza pubblica della Chiesa, dirà in un Consiglio permanente del 1991, il primo da presidente della CEI, è sostanzialmente presenza dei Vescovi, se vuole avere un’adeguata dimensione nazionale. Non solo. Presenza dei Vescovi vuol dire presenza della CEI, se si vuole conseguire un’efficacia pratica. Anche se non manca di concedere qualcosa, il ruolo dei Vescovi resta ovviamente non esclusivo, è qui il cuore “strutturale” del ruinismo: Berlusconi e il centrodestra non c’entrano granché. La questione non è di poco conto. Il ruinismo ha aggirato, con grande efficacia politica e mediatica, la “vischiosità” burocratica della realtà ecclesiale post conciliare, ritenendo di poterlo fare senza produrre contraccolpi nella Chiesa o comunque accettandone preventivamente i costi inevitabili. La vicenda può essere anche letta come un esempio di centralizzazione e personalizzazione nella gestione del potere ecclesiale, pur se non mancano elementi in controtendenza: l’applicazione rigorosa e puntigliosa degli elementi finanziari del Concordato rappresenta, al contrario, un successo della burocratizzazione virtuosa sulla precedente gestione statalistica e neo-patrimoniale. E tuttavia i contraccolpi ecclesiali non sono mancati. Quanto il ruinismo ha finito con il rendere più difficile l’attuazione di quel n.43 della Gaudium et spes per il quale non è dei Vescovi quanto prevalentemente dei laici l’aiuto che la Chiesa -  nel suo insieme - intende dare all’attività umana per mezzo dei cristiani? O del n.37 della Lumen Gentium che parla del diritto dovere dei laici a far conoscere il loro punto di vista sulla situazione ecclesiale? Dall’altra parte della “barricata” Faggioli colloca l’Azione cattolica, il cattolicesimo democratico, Dossetti e il dossettismo. Qui il discorso convince ancora di meno. Ruini è espressione della cultura teologica e politica dell’Azione cattolica, difficile dunque dedurre una sua, anche indiretta, disponibilità al concretizzarsi di un processo di delegittimazione dell’Azione cattolica. Il punto è, ancora una volta, la cultura di governo di Ruini, la sfumatura politica del suo stile di governo ecclesiale, il suo modo di porre in equilibrio le esigenze di governo della Chiesa con quelle della vita ecclesiale di tutti i giorni. Un modo nel quale entra certamente una qualche forzatura ecclesiologica sul ruolo della Conferenza episcopale, meglio del Consiglio permanente, meglio del suo Presidente, meglio ancora delle sue Prolusioni. Diversa è l’analisi per il triangolo cattolicesimo democratico, Dossetti e dossettismo. In prima battuta si potrebbe dire che che Faggioli ritiene delegittimati dal ruinismo dossettiani che hanno scavalcato Dossetti medesimo. Come non ricordare infatti, a proposito della difesa della Costituzione, che nel famoso colloquio di Dossetti con Elia e Scoppola nel 1984 è lo stesso Dossetti a parlare di un carattere eccessivamente garantista della Costituzione, sul fronte della forma di governo, un carattere dettato dal contesto storico e internazionale. Cambiato il contesto anche Dossetti finiva con il riconoscere la necessità di un mutamento costituzionale. Anche su questo punto il sopraggiungere dei governi Berlusconi finisce con l’essere un fatto teoricamente secondario, nonostante il diverso avviso di Dossetti medesimo. La questione è però più generale. Dossetti, il dossettismo e una certa tradizione cattolico democratica, sono espressione di una visione fissista e sostanzialista del bene comune, tutta riferita alla primazia della sfera politica - e in Dossetti in qualche caso anche dello stato - sulle altre sfere sociali. Non sono dunque più in grado di fare i conti con i processi di differenziazione sociale che si sono andati sempre più sofisticando. Non solo la differenziazione della politica dallo stato e dello stato dall’economia, ma anche la differenziazione del diritto dalla politica. Tale che abbiamo a che fare con mercati oltre gli stati e diritti senza stato. Tutto questo sfugge alle categorie dossettiane, sul punto del tutto assimilabili a quelle della socialdemocrazia del novecento. L’accettazione dello stato interventista, la proposta della pianificazione economica, la centralità della classe operaia, l’attenzione al sindacato, l’idea del partito come strumento di educazione culturale delle masse, la condanna come inadeguata della democrazia liberale, e così via sono tutti elementi che, come dice Paolo Pombeni nel suo studio sul gruppo dossettiano, accomunano Dossetti e la socialdemocrazia. Così come è finito il secolo socialdemocratico è finita la stagione dossettiana. E anche in questo caso il ruinismo non c’entra nulla. Di nuovo, Ruini prende atto di un processo in gran parte già compiuto. La frattura principale oggi non è dunque tra ruinismo e cattolicesimo democratico, più o meno dossettiano. La frattura è tra un cattolicesimo spiritualista e individualista, nel quale tutte le posizioni politiche e morali godono di un alto grado di compatibilità con l’appartenenza e la partecipazione religiosa, e un cattolicesimo autenticamente conciliare, che vive il concilio non come testo imbalsamato né come evento ineffabile. Un cattolicesimo che sostiene non l’irrilevanza morale delle questioni politiche ma il benefico svolgersi del bipolarismo politico, nel quale non c’è pregiudizio assiologico tra destra e sinistra. E’ il cattolicesimo che si è espresso - tra l’altro - nella settimana sociale di Reggio Calabria e nel documento preparatorio di quell’incontro. Un cattolicesimo per il quale nella società differenziata e poliarchica la politica non è tutto e non tutto, nella politica, si ordina secondo la vecchia frattura tra destra e sinistra. D’altra parte anche oggi, come per la verità in altre fasi della storia italiana della seconda metà del novecento, non vale l’equazione tra dossettismo e cattolicesimo riformista di sinistra. Anche oggi c’è un cattolicesimo riformista di sinistra fuori del dossettismo, nel quale emergono con più forza la tradizione cattolico liberale, quella del sindacalismo pluralistico, quella della “scelta religiosa”, ripensate nel contesto della crisi dello stato e della crescente differenziazione tra le sfere sociali. Un cattolicesimo che si è fatto un giudizio più complesso e articolato del ruinismo e di questa fase della transizione italiana.

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