PD ultima chiamata

Abbattuta la minaccia populista in Francia, al netto delle capriole dirigiste di Macron, la sfida prosegue. Il 2016 ha visto la vittoria dei populisti: in Gran Bretagna il referendum Brexit, negli Stati Uniti le presidenziali e in Italia il referendum del 4 dicembre. Ma il torneo non è concluso: Trump ondeggia, altrettanto Theresa May che ha preso uno schiaffone nelle elezioni di giugno, la partita tra populisti e liberali italiani, un po’ mascherata a dire il vero dalle anomalie politiche, è entrata nel vivo. E come mostra la vicenda della ratifica da parte degli stati membri del trattato tra UE e Canada, il posizionamento non avviene più solo lungo la vecchia frattura destra / sinistra ma prevalentemente su quella chiusura populista / apertura liberale. Era già avvenuto in sede di Parlamento europeo allo stesso modo e sullo stesso tema. La frattura populismo - liberalismo pone in questione tra le altre almeno due cose. Entrambe riguardano da vicino il PD e la sua strategia in vista delle elezioni del 2018. Potremmo sintetizzarle in due domande. La prima fa il verso a un lungo titolo cinematografico: che mi ci porti a fare in coalizione se non siamo d’accordo su nulla? La seconda più prosaicamente potrebbe essere: il populismo vince per i soldi o per il cuore? Cominciamo dalla prima. La sinistra PD e le sinistre a sinistra del PD - è la proporzionale voluta dalla Corte Costituzionale – cercano, evocano, si arrabattano per mettere in piedi una coalizione. Sperano di mettere insieme tutto quello che sa di sinistra, compreso bontà loro - ma non sono neppure tutti d’accordo - il PD. E di andare all’assalto della destra di Berlusconi. Grillo è quasi un compagno che sbaglia per loro. Al di là del riflesso condizionato il punto è un altro. Come voterebbe in Parlamento questa coalizione? Ovviamente in modo non unitario. Si dividerebbe su tutto ciò che oggi costituisce il paniere della frattura dominante: liberalizzazione, globalizzazione, welfare, mercato del lavoro, unione bancaria, unione monetaria e così via. E’ un film che abbiamo già visto. Il PD è nato per non vederlo più. E fin qui le cose sono semplici: se si resta coerenti con il PD della relazione Vassallo del 2006 la coalizione non ha spazio. Passiamo alla seconda, qui le cose sono meno semplici. La crisi e l’insicurezza economica, la riduzione del tenore di vita del ceto medio – pur se con tanti se e con tanti ma, le cose sono molto più articolate a proposito di ceto medio – i posti di lavoro minacciati dall’idraulico polacco che ha il suo contrario nel drop in nurses prodotto da Brexit, spiegano il successo populista del 2016? C’è un calcolo costi benefici nel voto per Trump? Evidentemente no. C’è dell’altro, c’è qualcosa che ha a che fare con il chi siamo non con il cosa abbiamo. C’è un’enorme questione identitaria che i liberali rischiano di non affrontare. E contro la quale rischiano di infrangersi. C’è bisogno di un racconto prima ancora che di un calcolo costi benefici. Non basta l’avanzo di bilancio occorre la fusione di orizzonti. Il 46% contro il 39% degli elettori riteneva la riforma di Renzi uno strumento per permettere alla democrazia italiana di funzionare meglio. Eppure il 60% di quegli stessi elettori l’ha bocciata. Il voto populista in Europa è associato ai ceti del lavoro autonomo, della piccolissima impresa, in misura superiore del 40% rispetto ai lavoratori dipendenti non qualificati. Eppure il 64% dei dipendenti non qualificati ha votato Brexit nel referendum del 2016. Una specie di rivolta contro il trentennio dei valori postmaterialisti della fine del ‘900, insomma. Alla quale occorre opporre una nuova e convincente sintesi tra libertà, diritti e doveri. Un impegno che accomuna sia chi viaggia ancora tranquillamente con la coppia libertà-individualismo sia chi lo fa con la coppia libertà-eguglianza. Entrambe ormai insufficienti. Il PD può farcela: deve selezionare questo campo di gioco e scegliere da che parte giocare. Ma deve farlo presto e con chiarezza. A Camaldoli la scorsa settimana questo abbiamo detto nell’incontro dei “landiniani”. Anche per il PD in questa fase “business as usual” non funziona più.

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