Osservazioni sull'esito referendario

di Giovanni Bianco Il risultato del referendum costituzionale è più roseo del previsto. Fa un certo effetto vedere Renzi comparire davanti agli schermi con un atteggiamento ben diverso da quello di pochi giorni fa, pronto a riconoscere i meriti dell'avversario, disposto ad affermare la vittoria della democrazia, dimissionario senza se e senza ma. Si chiude una fase della politica italiana? Di certo è giunto al capolinea l'ennesimo tentativo di modificare la Carta Costituzionale con un colpo di mano della maggioranza e, peraltro, con un Parlamento delegittimanto dall'ottima sentenza della Consulta, la n.1/'14, che dichiarò incostituzionale la legge elettorale maggioritaria, il "Procellum", vigente al tempo delle ultime elezioni politiche, quelle del 2013. La Costituzione ha resistito ai tentativi di manipolazione di Craxi, di Berlusconi ed ora di Renzi, sembra esserci, come qualcuno poc'anzi ha osservato, una sorta di "Provvidenza laica" che l'assiste, oppure, mi vien d'aggiungere, l'"astuzia della Provvidenza" di vichiana memoria. La storia della Repubblica italiana dimostra che ogni qualvolta una maggioranza governante ha cercato di varare revisioni della Costituzione alteratrici degli equiilibri tra i supremi poteri dello Stato, o pure della fisiologica dialettica tra governanti e governati, ha fallito. Il popolo italiano ha dimostrato, come nel 2006, una grande capacità di reazione dinanzi a manovre tese a scomporre la democrazia come "casa comune", per riprendere una locuzione cara a La Pira, foriere di divisioni e lacerazioni, volte a ridurre, se non a soffocare, i circuiti della partecipazione popolare e dell'esercizio della sovranità popolare. La Costituzione, entrata in vigore per durare nel tempo, non è una legge qualsiasi che si può fare e disfare, è di certo uno dei prodotti migliori del costituzionalismo democratico novecentesco, è il testo che ha ispirato i costituenti portoghesi del '76 e quelli sagnoli del '78, cioè due carte costituzionali redatte rispettivamente dopo la fine della dittatura reazionaria di Antonio de Oliveira Salazar e Marcelo Caetano e la rivoluzione democratica dei garofani e del regime autoritario falangista di Francisco Franco. Uno dei maggiori costituenti, Piero Calamandrei, ha scritto, nell'Introduzione al primo "Commentario sistematico della Costituzione italiana" del 1950, che essa contiene una "rivoluzione promessa" evincibile dal principio d'eguaglianza sostanziale, dall'art.3 comma secondo Cost., cioè l'aspirazione ad una società pienamente democratica e tendenzialmente omogenea. Una "rivoluzione promessa" frutto di una "rivoluzione democratica" quale fu l'Assemblea Costituente che operò tra il '46 ed il '47, eletta con suffraggio universale, che diede al Paese una nuova Legge Fondamentale dopo l'oscura parentesi della dittatura fascista. E'anche da richiamare un altro concetto caro a Calamandrei, quello di "disfattismo costituzionale", sviluppato nel celebre scritto del febbraio del '55, "Costituzione inattuata!", in cui denunciò l'"ostruzionismo della maggioranza" governante verso l'attuazione costituzionale ed un clima di processo alla Resistenza antifascista. Due concetti questi ultimi attuali ed utilizzabili per capire le fasi delle scelte compiute dal governo Renzi negli ultimi mesi, quando la c.d."riforma costituzionale", rectius "controriforma", è divenuto un cavallo di battaglia, il leit motiv dell'azione di governo, della realizzazione dell'indirizzo politico di maggioranza. Infatti, il tentativo governativo di riscrivere un terzo della Costituzione è la volontà politica di riporre in soffitta gli equilibri istituzionali disegnati con sapienza dai costituenti, di non considerare più con attenzione quella "paura del tiranno" che sempre serpeggiò nei lavori della Costituente e che voleva significare attenzione massima ad un sistema di freni e contrappesi. La Costituzione altro non è che la traduzione in formule giuridiche dello spirito della Resistenza. Questo non deve essere trascurato nè dai detentori del potere politico nè dai governati. Ed è forse tale pensiero quello che più d'ogni altro può sintetizzare siffatto momento di vittoria di chi si è opposto al tentativo di affermazione di un esecutivo costituente dominante nei confronti del Parlamento. Al "disfattismo costituzionale" deve contapporsi il "patriottismo costituzionale", che vuole significare, secondo il pensiero del suo maggior teorico, il filosofo tedesco Jürgen Habermas, lealtà ai principi universalistici di libertà e democrazia sanciti dalla Costituzione, attaccamento politico ed ideale del cittadino allo Stato democratico-pluralista incentrato sui valori fondamentali del patto costituzionale e basilari per la stessa identità nazionale.

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