NON E’ POPULISMO, MA UN'ALTRA COSA di Luciano Iannaccone

  [media-credit id=67 align="alignnone" width="300"][/media-credit]   Ci si interroga se il termine “populismo” sia corretto per descrivere la posizione di molti,  soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, che si oppongono frontalmente alla conseguenze sociali della sempre più stretta interdipendenza economica e sociale fra Stati e fra economie e alla crescente concorrenza mondiale nella produzione e nel commercio. In una parola alla globalizzazione, chiedendo chiusure e protezioni che tutelino quanti (tanti) ne sono minacciati. Va rilevato, in questa denuncia del radicalizzarsi di contrapposizioni nate prima e soprattutto con la rivoluzione industriale circa due secoli fa, il distacco immemore dal lessico precedente: “populismo”, “sovranismo”, “globalizzazione” succedono a protezionismo e liberoscambismo sul piano economico, indipendenza nazionale ed imperi multietnici su quello politico. Certo la situazione è oggi assai diversa, soprattutto perché i centri di iniziativa e di potere politico ed economico sono presenti pressochè in tutto il mondo e le dinamiche economiche e sociali si sono accelerate  in modo  esponenziale,  anche  riducendo  significativamente il divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Riconosciuto tutto ciò, torniamo a chiederci se il termine “populismo” sia descrittivamente corretto, limitando l’analisi e la verifica al caso italiano ed evitando quindi generalizzazioni prive di sufficiente fondamento. Due elementi sembrano balzare all’occhio: il primo è che non si tratta di un atteggiamento di reazione magari confuso (come il termine “populismo” indica), ma fatto proprio da classi e da gruppi sociali fra loro collegati, bensì di un posizionamento quantitativamente rilevante, ma prevalentemente individuale che al più guarda al proprio ambito familiare. E’ una reazione  individualistica più che individuale, che guarda legittimamente al “particulare”. Il secondo elemento pare essere la paura, sia del presente che del futuro. La paura di essere o di poter diventare un fuscello portato dal vento, senza che a nessuno importi qualcosa del pericolo da cui ci si sente concretamente minacciati. Questa condizione spinge ad afferrarsi a qualcosa che possa fare da aiuto e difesa, e questo qualcosa, prima che altri nelle stesse condizioni, prima che un’idea o un partito o un movimento, prima che i  prossimi o la rete, è il proprio naso. Si ripone la fiducia nel proprio naso, non accorgendosi (o accettando) che così si rischia di non riuscire a vedere e ad andare oltre il medesimo. Per questo, sulla base della sommaria analisi descritta, ciò  che si è usi a chiamare “populismo” (e che presupporrebbe una azione collettiva condivisa da un insieme sociale) è in realtà per tantissimi il “nasismo”, che non è il nazismo proferito da quanti hanno difficoltà a pronunciare la zeta, ma l’atteggiamento e la scelta che è stata qui descritta.   Il proprio naso dice al nasista che la situazione non solo è complicata, ma è molto pericolosa: e certamente non sbaglia. Dice anche che non aiuta crogiolarsi nella propria paura solitaria, ma serve farsi un’idea delle dinamiche nazionale ed internazionali che lo minacciano e poi fare delle scelte utili  a se stesso e a chi sta più vicino: e anche qui il naso ha ragione. Il difficile viene quando dal metodo occorre passare ai contenuti: le evidenze e le problematiche scientifiche, economiche, sociali, statistiche, la politica nazionale ed internazionale, i problemi ed i dilemmi, le scelte più utili e conseguenti. Qui il nasismo manifesta il suo limite e la sua impotenza: bisognerebbe non a naso, ma con fonti affidabili conoscere ciò che non si conosce: ma come si fa ? Il mondo che grida e strepita intorno a noi, e quindi anche intorno ai nasisti, è quello che incontra Pinocchio fuggito da casa: ci sono Mangiafuoco ed il burattini, il Gatto e la Volpe, Lucignolo ed il paese dei balocchi. La casa della Fata Turchina è lontana, vicino c’è lo strepito delle bugie e degli inganni. Ci sono, è vero, certezze storiche e scientifiche, i numeri delle rilevazioni statistiche più accreditate, voci competenti e per questo non urlanti. Ma ogni dato viene spudoratamente rovesciato nel proprio contrario, ogni notizia viene allegramente trasformata in “fake news”, tutto e il contrario di tutto dominano il vociante mercato mediatico. Come si fa a sapere come stanno le cose e sotto quale bandiera è giusto e utile marciare ? Fortuna che per molti ci sono i 5Stelle, una sorta di “Scientology dei poveri” che ti spiega per filo e per segno tutto, dalle banche  all’universo e consente pure di votare e di farsi votare alle “parlamentarie”. E’ così che il nasismo diventa presunzione e militanza o ribellismo e rancore o volubilità o tutte queste cose insieme, non uscendo però dalla gabbia in cui si è cacciato. E come Pinocchio si imbatte e segue il Gatto e la Volpe, così esso troppo spesso si affida ai capi populisti, demagoghi allo sbaraglio, che dei due imbroglioni di Collodi non hanno la finezza interpretativa, ma soltanto la menzogna seriale.   Appare evidente che in questo modo il nasismo non solo rinuncia a misurarsi con le grandi opportunità della globalizzazione, individuandone e combattendone nel contempo gli aspetti negativi, ma non riesce neppure a liberarsi dalle comprensibili paure da cui nasce, che restano nel fondo vive e forti perché per nulla intaccate dalle strade illusorie che vengono battute. Però il naso c’e, è ancora attivo, forse può fiutare e indicare un’aria più pura,  libera dai miasmi che imprigionano il cuore e la mente. E’ il mio augurio ai nasisti con un appello ai “responsabili ambientali” : cambiate aria, tutti, fatela circolare più pulita. Ed insieme il consiglio di ascoltare meglio il proprio naso, che sommessamente invita anche ad andare oltre la propria punta, perché solo così si può forse dare una risposta vera alle paure e al bisogno.   Luciano Iannaccone                          

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