le divisioni di Renzi - d.allegranti in foglio 18.08.2016

Le divisioni di Renzi Confindustria, Cisl, Acli, intellò, Mr. preferenze e altri. La conta dei potenziali “sì” al referendum di David Allegranti | 18 Agosto 2016 Roma. Quante divisioni ha il Papa, in questo caso Matteo Renzi? L’estate sta finendo, l’autunno costituzionale sta arrivando, il referendum incombe ed è l’unica cosa di cui il Pd riesce a parlare ininterrottamente da mesi. Fra i gran rifiuti scontati alle riforme (dalla Cgil al M5s), si va strutturando anche un bacino potenziale di elettori a favore del sì su cui il premier potrebbe contare. Potenziale, appunto, beninteso: il fatto che la dirigenza di un’associazione di categoria si sia schierata a favore del sì non implica che lo stesso faranno i suoi iscritti. Altrimenti si cade nell’effetto Sergio D’Antoni, che dopo aver lasciato la Cisl, di cui era segretario, nel 2001 fondò Democrazia europea, che chiuse bottega nel 2002. Il pluralismo associativo, insomma, è roba complicata, figurarsi poi in epoca di crisi della rappresentanza e di cortocircuito fra élite e popolo. Comunque, proprio la Cisl, con i suoi 4.298.710 iscritti, si è recentemente schierata a favore del referendum. ARTICOLI CORRELATI • I nomi del fronte del no al referendum (aiuto!) aiutano a capire in che guaio si è cacciato il centrodestra • Le polemiche sull’Anpi e il referendum non c’entrano con un’onesta posizione anti riforma • Nemmeno se passa il “sì” al referendum Renzi è al sicuro. C’entra l’economia “Siamo in un momento particolare che deve essere di svolta nell’Unione europea e nel paese. Per questo servono interventi, investimenti sul lavoro e economia reale. Non serve instabilità, in questo momento c’è bisogno di stabilità per far ripartire l’economia. Sono quarant’anni che aspettiamo questa riforma”, ha detto la leader della Cisl Annamaria Furlan. Posizione condivisa dai metalmeccanici della Fim-Cisl (221.349 iscritti al 2013), che hanno approvato un documento di sostegno. “Come sostenuto dalla Cisl, va sottolineata l’importanza politica del provvedimento e dei principali aspetti della riforma che, oltre al rilievo per l’assetto democratico delle istituzioni, possono contribuire a determinare conseguenze positive in termini di sviluppo economico e crescita del paese”. Potenziali elettori per il sì si trovano anche nel settore agricolo. La Coldiretti, che fino a qualche anno fa aveva oltre un milione e mezzo di iscritti, è a favore, così come la Cia, non quella più nota oltreoceano e con licenza di uccidere, ma la Confederazione italiana agricoltori (circa novecentomila iscritti). C’è poi il sostegno di Confindustria, quantomeno della maggioranza che fa riferimento a Vincenzo Boccia (lo sconfitto, Alberto Vacchi, avrebbe voluto mantenere neutrale l’associazione degli industriali). Il Consiglio generale di Confindustria ha approvato all’unanimità la posizione favorevole al referendum proposta dalla presidenza. “Quella del Consiglio generale è una scelta a favore della governabilità, della competitività e del valore della responsabilità. La riforma costituzionale guarda all’interesse generale del paese nel medio-lungo periodo e va sostenuta, quindi, a prescindere dalla situazione politico-elettorale del momento. E’ senz’altro migliorabile, ma è pre-condizione indispensabile per realizzare quelle riforme economiche necessarie al rilancio della crescita, su cui Confindustria chiede un impegno forte da parte del governo”. Secondo Confindustria e il suo Centro studi, le riforme costituzionali sarebbero essenziali per far ripartire l’economia. Anche Federalimentare è per il sì: il presidente Luigi Scordamaglia ha spiegato che quella è “una riforma attesa da decenni. Qui ci sono partiti e politici che per anni non hanno fatto niente per modernizzare il paese, poi improvvisamente si sono svegliati e dicono che voteranno no perché si può fare meglio”. Nel mondo cattolico, c’è il sì di Civiltà cattolica. Un sostegno che va ad aggiungersi a quello dei 184 intellettuali, non necessariamente cattolici, che hanno firmato un appello a favore del sì, da Stefano Ceccanti a Salvatore Vassallo, da Stefano Pizzorno ad Angelo Panebianco. Altri studiosi, scrittori e professori, circa trecento, invece hanno firmato un appello per un “pacato sì”. Ci sono poi le Acli, quasi un milione di iscritti, che ufficialmente non hanno ancora preso posizione (lo faranno il 16 e 17 settembre, in occasione del prossimo incontro di studi nazionale che si terrà a Roma). Dal tono dei comunicati, però, l’orientamento sembra essere benevolo nei confronti della riforma: “Dal dibattito della Direzione è emersa l’importanza di questo referendum per il processo riformatore del paese, l’approccio pragmatico ai contenuti della riforma che vanno valutati per i loro pregi e i loro limiti e sottratti, per quanto possibile, alla contrapposizione governo-opposizioni e alla personalizzazione del confronto elettorale referendario”. Sì anche da Confimi, Confederazione delle Industrie manifatturiere italiane (28 mila membri): “L’instabilità dei governi, la farraginosità dei processi decisionali, l’incertezza delle regole, la giungla della burocrazia, non consentono oggi alle imprese italiane di vedere nello stato e nelle istituzioni locali un potenziale alleato”, dice il presidente Paolo Agnelli. La politica, invece, meriterebbe un articolo a parte. In attesa che la minoranza del Pd smetta di traccheggiare, ci sono stati i primi no alla riforma di dieci parlamentari Dem. L’opposizione interna al partito di Renzi probabilmente si spaccherà, tant’è che è già nato anche un variegato comitato di “sinistra per il sì”, animato dal ministro Maurizio Martina (ne fanno parte anche Vannino Chiti e Piero Fassino). Potrebbero incidere, invece, in alcune aree del mezzogiorno, i campioni delle preferenze. Vedi Gianni Pittella, che mette a disposizione di Renzi i suoi 225 mila voti delle ultime elezioni europee.

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