La svolta di Firenze?

Il PD ha un cattolico come suo leader? Si tratta di una questione puramente biografica e del tutto irrilevante? Tra i suoi elettori i praticanti sono presenti in misura equivalente alla loro presenza nell’elettorato italiano, se non lievemente sovrarappresentati. Si apre una nuova fase del rapporto tra cattolicesimo italiano e vita politica? I prossimi anni possono segnare un passaggio in grado di abbozzare un nuovo schema di riferimento per il cattolicesimo italiano nello spazio pubblico? Una risposta politicista sarebbe ingenua e affrettata. Come non è possibile un rinnovamento “a trazione ecclesiale” del cattolicesimo politico  – perché è impraticabile una visione tutta introversa della chiesa – così non ne è pensabile uno a “trazione politica” in un tempo nel quale è del tutto evidente come i mutamenti sociali abbiano ridimensionato e ridefinito il ruolo della politica nella società. La grande questione è oggi come avere meno politica ma una politica più capace di decidere e non più politica in una società diretta della politica. Non avrebbe senso tentare di mettere il cattolicesimo, che ha nel suo codice genetico la limitazione della sfera politica, su un binario del tutto contraddittorio con questo codice. Ancora una volta conviene guardarsi un po’ indietro e provare a ricostruire una serie di passaggi in modo da gettare una qualche luce sul presente. Gli ultimi anni sono stati segnati da un debole ma vistoso tentativo clerico moderato di conservare uno spazio pubblico per il cattolicesimo negoziando condizioni di presenza per alcuni dei suoi rappresentanti. Esemplare l’ultima puntata di questo tentativo, quella di Todi. In questo schema l’importante è esserci, i contenuti vengono dopo e si tratta di vedere quali sono e cosa chiedono i possibili alleati. Lo scambio lo si realizza sui posti e sui provvedimenti legislativi di interesse. Per farlo occorre essere proporzionalisti e guardare quindi indifferentemente a destra come a sinistra: per dirla in breve occorre muoversi secondo la logica del gruppo di interesse. Nel brevissimo periodo qualche risultato viene pure fuori per poi però ridimensionarsi velocemente, vuoi per la forza della dinamica duale del sistema politico – non si può essere indefiniti per statuto nella dichiarazione delle alleanze - vuoi per l’estraneità dei clerico moderati al corpaccione sanamente popolare del cattolicesimo italiano. Intendiamoci, in un’ottica di momentaneo galleggiamento il modello Todi va più che bene: serve a capitalizzare consenso e ottenere qualche deputato da usare in una logica di lobby. Nessuno scandalo. Ma nel lungo periodo è assai difficile coglierne la capacità di generare valore. I fatti lo stanno dimostrando. L’elezione di Renzi mette nell’angolo questa strategia che, non potendo non essere governista, ha bisogno di scendere a patti con chi è maggioranza. E oggi i patti tra clerico moderati e Renzi vedono i primi soccombere largamente. Allo stesso tempo abbiamo assistito anche al declino del competitor più combattivo del clerico moderatismo, l’ultima versione del dossettismo per molto tempo egemone a sinistra. Lo schema è quello collaudato, spesso al di là della complessità di Dossetti stesso. Il clerico moderatismo si combatte con la Costituzione che così da casa di tutti diventa strumento di parte. Il libretto delle istruzioni è noto: la Costituzione italiana è la più bella del mondo, la politica deve riprendere il suo primato sociale, la televisione berlusconiana ha generato la deriva della personalizzazione leaderistica, l’economia di mercato va bene, però è lo stato che assicura il bene comune. Ecco il mantra dei dossettiani che ha finito per contribuire a una radicalizzazione della sinistra e, non da ultimo, del PD. Una radicalizzazione ormai recessiva, come dimostrano i segnali che vengono dalla composizione degli organismi direttivi del PD eletti dall’Assemblea nazionale. In ragione soprattutto di biografie tutte interne a una generazione socializzata nel primo post Concilio e quasi ferma ai dibattiti degli anni sessanta. La custodia del dossettismo - che tra l’altro ha ancora una posizione molto forte tra i "quadri" delle associazioni tradizionali del mondo cattolico – si trova evidentemente a disagio con il mantra renziano, che è invece fatto di riforma della Costituzione, di liberazione dalla troppa politica, di personalizzazione democratica, di mercato concorrenza e regole. Anche i dossettiani vanno in seconda fila con la vittoria di Renzi. La svolta politica annunciata da Renzi congeda dunque clerico moderati e dossettiani, il che non significa ovviamente che rinunci a catturarne il consenso. Un PD a vocazione maggioritaria è un partito pigliatutto per definizione. Questa presa di congedo ha un senso più che semplicemente tattico, culturale, generazionale? E’ troppo presto per dare una risposta, la tentazione di liquidare la questione è molto forte soprattutto da parte di chi è forse troppo velocemente passato dalla militanza nel partito dei cattolici a quella nella sinistra. Al fondo ci si trova ancora una volta a dover fare i conti con il groviglio di temi che circonda il rapporto tra Chiesa cattolica e società italiana. Renzi e i cattolici praticanti che l’hanno votato alle primarie si muovono infatti in un contesto nel quale ciò che appare evidente è la mancanza di un solido e ordinario vivere la Chiesa e la città. Un vivere la Chiesa e la città riscoprendo in modo autenticamente conciliare il ruolo dell’apostolato dei laici, dopo che dinamiche ecclesiali e sociali - soprattutto un certo stile di partecipazione religiosa come consumo di beni religiosi - l’hanno rinchiuso nei confini dell’ecclesiastico, dentro le curie e i movimenti, in una dimensione cosiddetta religiosa che è esattamente l’opposto di quanto Paolo VI e l’Azione Cattolica nella Chiesa degli anni sessanta e settanta avevano definito come “scelta religiosa”. Paolo Vi aveva parlato chiaro nella Evangelii nuntindi. E’ il laicato cattolico che ha messo da parte la pratica associativa come strumento principale per fare esperienza concreta della propria realtà di appartenenza alla Chiesa e alla storia nella quale la Chiesa vive. La dimensione associativa rende infatti routine, e quindi istituzione, gli elementi specifici dell’agire organizzato, un fattore essenziale per ridare spazio a processi di educazione nella fede, a cammini di discernimento ecclesiale e infine a una dimensione anche politica del cattolicesimo. Senza istituzioni non ci sono organizzazioni, senza organizzazioni non c’è politica. La riscoperta di una sorta di vettore dal basso di una religione civile nel contesto di una società aperta, passa inesorabilmente dalla ripresa della capacità organizzativa e associativa del laicato cattolico. Le scorciatoie movimentiste che pure esprimono tensioni autentiche, sono costantemente esposte al rischio della deriva settaria e di quella spiritualista. Possiamo allora dire che la storia del cattolicesimo politico italiano è all’esordio di una nuova stagione del laicato cattolico alle prese con le sfide della politica? Staremo a vedere. In questa storia eventi politici ed eventi ecclesiali si mescolano nel giocare il ruolo di propagatori di innovazione. Si mescolano in combinazioni diverse, qualche volta a partire da un innesco politico, qualche altra da un innesco ecclesiale. Negli anni del dopo guerra e del concilio l’innovazione ha avuto un innesco politico. Se pensiamo agli anni della ricezione del Concilio, vediamo che spesso il gioco è stato segnato invece dai grandi Convegni ecclesiali nazionali, tutti in qualche modo agganciati a un passaggio di fase. Nel 1976 “Evangelizzazione e promozione umana” certifica solennemente la crisi del modello del partito dei cattolici, una crisi che esploderà 15 anni dopo ma che il convegno legge già con grande lucidità. E’ il convegno che celebra l’egemonia della cultura cattolico democratica, non senza qualche sotterranea tensione di accenti e di prospettive, ma in ogni caso solidamente fondata sul magistero di Paolo VI. Nel 1985 questa cultura arriva a Loreto in posizione “di governo” su tutti i fronti, dalle nomine episcopali alla CEI, dalle ACLI all’Azione Cattolica, ma deve subire l’urto di Giovanni Paolo II. E non regge quell’impatto, non riesce a opporre istituzioni e organizzazioni capaci di assorbire e rielaborare questa sfida. Anche se il 1985 non va letto – come parte della storiografia fa - come la riscoperta della presenza del cattolicesimo nel Paese. In realtà, questa presenza era ben viva da decenni e capace di alimentarne la riflessione e l’azione, si pensi al documento “La Chiesa italiana e le prospettive del paese” del 1981. Tuttavia il 1985 segna un indubbio punto di svolta. Movimentismo e centralizzazione mediatica prendono via via il sopravvento. L’afasia del laicato e il presenzialismo episcopale cominciano a fare coppia fissa nella vita pubblica del Paese. Tra Palermo 1996 e Verona 2006 si compie la parabola del ruinismo,  fatta di grande attivismo pragmatico, di centralizzazione organizzativa e finanziaria, di schietto conservatorismo cattolico liberale,  ma che lascia assai poco in eredità dal punto di vista del rinnovamento ecclesiale e quindi indirettamente dello stesso ruolo pubblico del cattolicesimo. La centralizzazione mediatica può far vincere un referendum,  ma non rimette certo in carreggiata la Chiesa italiana. Anche se Ruini si converte in modo definitivo al bipolarismo e alla democrazia maggioritaria, segnando in questo un punto di distanza dalle tendenze clerico moderate, gli anni successivi ci consegnano un cattolicesimo sfibrato e sostanzialmente privo di una dimensione collettiva nella sfera pubblica. Proverà a costruire una rete il lungo cammino di preparazione della Settimana Sociale di Reggio Calabria nel 2010,  con la sua agenda di speranza e di cambiamento. Forte nei contenuti ma debole, nonostante il paziente lavoro di base, sul piano della politica ecclesiale, stritolata dalle opposte accuse di conservatorismo e di fiancheggiamento del PD, la Settimana non troverà né imprenditori politici né imprenditori ecclesiali. Un’occasione perduta. Il prossimo Convegno ecclesiale di Firenze del 2015 può segnare un nuovo passaggio di fase? Può spingere il cattolicesimo e l’intero paese verso l’ancora non raggiunta chiusura della transizione iniziata con la crisi dell’ 89? Verso un assetto dei rapporti tra religione e politica compatibile con una società aperta? La curiosa coincidenza geografica può diventare qualcosa di più di una coincidenza? Alcuni elementi ci inducono quantomeno a dare credito a questa domanda. La risposta è ovviamente ancora indefinita.  Il Convegno potrebbe portare a maturazione per la Chiesa italiana alcuni recenti importanti spunti del magistero dei pontefici. Dalla mistica sociale dell’eucaristia di Benedetto XVI (Deus caritas est)  alla sfida della città come forma privilegiata dell’organizzazione sociale e politica dopo la fine della coincidenza e della sovrapposizione tra stato, politica e società. E’ papa Francesco (Evangelii Gaudium) a irrompere con il suo linguaggio e con le sue categorie nella discussione sulla crisi delle forme della politica, proponendo quell’esercizio di discernimento di cui ha a lungo parlato nell’intervista a Civiltà Cattolica. Si potrebbero indicare eucaristia, città e discernimento come tre temi chiave del cattolicesimo politico italiano. Il breve documento di invito al Convegno ecclesiale di Firenze attraversa questi temi, prendendo atto del congedo di papa Francesco dalla stagione, confusa dottrinalmente prima ancora che politicamente, dei valori non negoziabili. E giunge in una fase nella quale l’azzeramento della CEI di Bagnasco potrebbe aprire le porte ad una stagione di nuova costruzione dal basso, al protagonismo possibile di vescovi e laicato dopo due decenni di sostanziale commissariamento. Possibile in relazione allo stato delle forze, allo spessore delle individualità e al grado di persistenza delle organizzazioni. Dall’altra parte c’è il sommovimento generato dal Sindaco di Firenze. Un cattolico pragmatico e post secolare, al quale non fa problema il ruolo pubblico della Chiesa,  ma che si tiene alla larga da ogni forma di confessionalismo. Si direbbe un cattolico liberale di sinistra, nei fatti anche se non sembra poi tanto nella consapevolezza dottrinale. Tutto bene dunque? No, al contrario: manca un protagonista essenziale, il laicato cattolico. Senza una sua forma organizzata e collettiva di espressione non c’è grande spazio per l’apertura di una nuova fase del cattolicesimo politico, sia nella sua faccia politica che in quella ecclesiale. E’ il grande tema dell’associazionismo del laicato cattolico, abbandonato per una malintesa ricerca del rinnovamento conciliare e messo da parte a beneficio dei più effervescenti movimenti ecclesiali. Da anni si sta pagando il conto di quelle scelte, fortemente condizionate dai contesti in cui sono maturate, nonostante non mancassero lucide voci critiche, ma sicuramente deboli e di corto respiro. Siamo dunque ancora lì, alla scelta religiosa dell’Azione Cattolica del post Concilio. Una scelta poco capita, spesso equivocata come fuga dalla sfera pubblica,  ma dotata di un suo carattere universale. Come d’altra parte aveva insegnato il Concilio.      

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