La scoperta dell'ovvio: il contratto di governo giallo-verde, di Giorgio Armillei

Le anticipazioni sul contratto di governo versione 1.0 hanno fatto barcollare molti fiancheggiatori e compagni di strada della maggioranza giallo-verde. Eppure non ci sono sconvolgenti novità per chi stia seguendo con attenzione la nuova stagione proporzionalistica della Repubblica italiana. Ci si straccia le vesti per il comitato di conciliazione ma nel quadro del parlamentarismo assoluto, voluto con forza dai no del referendum del 4 dicembre, si tratta di un accorgimento fisiologico. Nelle democrazie proporzionalistiche in cui il cittadino non é arbitro del governo questi (e altri) sono normali meccanismi di concertazione che comprimono il rapporto diretto tra cittadini e istituzioni: è la repubblica dei partiti. Chi ha voluto e vuole ancora oggi un assetto proporzionalistico non può che portarci dritti lì. E se qualcuno storce il naso è proprio in ragione di quella cultura politica della democrazia maggioritaria, personalizzata e governante che si è voluto accantonare. Non è difficile infatti capire come la proposta del comitato di conciliazione sia l’esito dell’ostinata opposizione al principio della coincidenza tra premiership e leadership del partito. Un meccanismo che funziona come ingrediente di responsabilizzazione verso gli elettori e non certo come deriva leaderistica dell’uomo solo al comando. Unire premier e capo del partito significa avere più controllo e non meno controllo sull’esercizio dei poteri del governo. Né possiamo dire infine, anche in ragione di autorevoli precedenti, che la proposta del contratto sia incostituzionale. Chi non ricorda i famosi vertici di maggioranza che precedevano le riunioni del Consiglio dei ministri nella storia repubblicana fino al 1994. O come dimenticare la proposta formalizzata da Ugo La Malfa, incaricato da Pertini di fare un nuovo governo nella fase finale della stagione della solidarietà nazionale alla fine degli anni Settanta, per la formazione di un supercomitato stabile dei segretari dei partiti della maggioranza che fosse sostanzialmente di garanzia per il PCI e per i partiti che non avevano loro ministri nel governo in formazione, governo che poi non si formò. è la repubblica dei partiti. Sorpresa anche di fronte alla proposta di avviare un percorso di revisione dei trattati costituzionali europei per consentire uscite controllate dall’Euro. Anche in questo caso difficile sorprendersi: l’orientamento sovranista di Lega e M5s era facilmente rintracciabile in ogni riga delle loro posizioni pubbliche, sia nella fase prossima della campagna elettorale che soprattutto nelle fase remota dei loro comportamenti di voto, nel Parlamento italiano e nel Parlamento europeo. Altrettanto note sono d’altra parte le acrobazie con cui Forza Italia, che pure non è immune dalla sindrome euroscettica, ha potuto mantenere una parvenza di convergenza programmatica con la Lega e con FdI nel corso della campagna elettorale. Semmai ciò che sorprende è la superficialità con cui anche tanta sinistra del PD gioca al macronismo contro Merkel e gli ordoliberali, senza rendersi conto di spianare così la strada ai sovranisti. C’è poi la ciliegina sulla torta del populismo giudiziario, cioè della ricerca ossessiva di un paradigma del conflitto politico che sia per un verso subordinato a e per un altro modellato su quello del processo penale. La sindrome accusatoria, come la chiamano i giuristi che ne hanno studiato presupposti e applicazioni anche a numerosi episodi della recente storia politica nazionale. Anche in questo caso nulla di nuovo: il populismo giudiziario insieme a quello economico, a quello politico e a quello ambientale fa parte del bagaglio intellettuale del governo giallo-verde. Anche in questo caso la sinistra PD ha dato una mano, pensiamo alla confusione dei poteri in capo all’ANAC – il grande gendarme - e alla strategia anticorruzione edificata sulla moltiplicazione dei poteri anziché sulla loro riduzione. I populisti fanno il loro mestiere, inutile sorprendersi, gridare allo sbrego costituzionale o certificare l’approssimazione imbarazzante delle loro proposte. Più saggio sarebbe riconoscere i propri errori e cominciare a costruire l’alternativa. L’offerta fa la domanda.

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