Il mio articolo sull'Unità di oggi

Unioni civili. Al legislatore l’onere di trovare una soluzione ragionevole di Stefano Ceccanti Non c’è dubbio che il cambiamento in materia di famiglia sia molto accelerato nelle esperienze costituzionali, ma l’aspetto meno scontato è che questi cambiamenti siano per lo più avvenuti o tramite leggi ordinarie (Francia, Spagna, alcuni Stati americani) o attraverso decisioni giurisprudenziali (Corte suprema Usa). La strada dell’esplicita revisione costituzionale è stata tipica del solo caso irlandese. Perché? Se prendiamo come riferimento la celebre raccolta delle Costituzioni europee vigenti all’1 settembre 1951, curata da Boris Mirkine-Guetzévtich,, ci accorgiamo che i paletti specifici posti per stabilizzare una certa nozione di famiglia appaiono significativi solo in tre casi. Anzitutto ciò è vero, nella misura massima, per le due esperienze residue di Stato autoritario, quella spagnola e quella portoghese. Tra le Costituzioni democratiche quella irlandese del 1937 prevedeva un livello di confessionalismo analogo a quello spagnolo. Lo specifico articolo dedicato alla famiglia, la definiva “come un’istituzione morale investita di diritti inalienabili e imprescrittibili, anteriori e superiori ad ogni legge positiva”. Di conseguenza troviamo qui una risposta all’eccezione irlandese di oggi: scomparsi gli Stati autoritari, solo quella Costituzione aveva un imprinting tale per cui si è preferita la strada della revisione costituzionale. Negli altri casi le Costituzioni erano state estremamente parche di parole e quindi di limiti al legislatore e ai giudici. Il testo della Costituzione italiana non ha seguito le tre Costituzioni citate in precedenza. Indubbiamente il contesto del 1948 fino alla revisione concordataria di metà anni Ottanta era impregnato di confessionalismo, tuttavia l’art. 7 si limita a costituzionalizzare il metodo pattizio piu’ che i contenuti concreti del 1929; inoltre l’articolo 29 non previde la costituzionalizzazione dell’indissolubilità rigettandola esplicitamente ed anche la natura gerarchica del rapporto uomo-donna nel matrimonio (pur sopravvissuta nella legislazione ordinaria fino al 1975) fu nettamente incrinata dall’affermazione dell’ “uguaglianza morale e giuridica dei coniugi” dell’art. 29.2. L’unica possibilità di un ostacolo a visioni espansive sta nella definizione di “società naturale”, anche se, posti gli elementi precedenti, non è interpretabile nel senso di una devoluzione alla Chiesa cattolica della definizione del diritto naturale. Fu chiarito che il richiamo era inteso come “una determinazione di limiti” (Moro) rispetto al legislatore e che l’apertura dell’art. 7 al metodo concordatario non vincolava il legislatore statale a costituzionalizzare le caratteristiche del matrimonio canonico. In ultimo la sentenza 138/2010 della Corte costituzionale ha escluso qualsivoglia interpretazione giusnaturalistica, adottando quella storica (il significato tradizionale) e sistematica (il codice civile). Pur ammettendola, ha escluso l'interpretazione evolutiva perché essa avrebbe portato ad includervi "fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata". E’ solo da dentro l’ordinamento che è possibile argomentare nell’uno o nell’altro senso, ma, ovviamente, proprio per questo, è inevitabile un conflitto. La Corte costituzionale che ha escluso l’interpretazione espansiva ma, con pari forza, ha insistito per una legislazione sulle unioni civili, ha in fondo adottato una via media, accogliendo la logica gradualistica dell’evoluzione degli altri Stati. In nessuno di essi si è slittati direttamente al matrimonio omosessuale. Ovviamente, però, il conflitto tende a riproporsi sul contenuto differenziale tra matrimonio e unione civile. Per gli oppositori del same sex marriage, proprio perché l’unione civile non può aprire la strada ad esso, più le due realtà si differenziano e meglio è. All’opposto coloro che vedono nell’unione civile come un precedente di passaggio, l’unione è intesa solo come nominalmente diversificata. Il conflitto sulla cosiddetta stepchild adoption è il punto di caduta sintomatico di questa differenza. Viceversa il conflitto sul tema dell’utero in affitto non ha niente a che vedere dato che esso in Italia è vietato, mentre non sarebbe comunque sanzionabile in modo efficace all’estero, dove è peraltro utilizzato in stragrande maggioranza da coppie eterosessuali. Al legislatore in queste settimane spetta l’onere di trovare una posizione intermedia, tale da lasciare impregiudicata la questione se debba o meno trattarsi di un primo passo verso il same sex marriage. In ogni caso, una volta operata la scelta, laddove sia stato previsto una distinzione nel trattamento rispetto alle coppie sposate, i legislatori dovranno comunque prendere atto del controllo di ragionevolezza dei giudici. (sintesi della relazione che sarà svolta all’Università di Milano Bicocca il 9 novembre)

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