Decidersi, di Luciano Iannaccone

  Attraversiamo una fase decisiva  per il presente ed il futuro dell’Italia. Quanti ne sono preoccupati, ma in particolare le forze ed i cittadini che temono le politiche di questo governo, hanno il dovere civile di non limitarsi alla facile ironia nel condannare le scelte di bilancio della maggioranza gialloverde, ma di cercare e proporre una  strada alternativa. Che sia chiara, coerente e si rivolga alla mente ed al cuore degli italiani. L’attuale governo gode di molti consensi, ma non sono affatto irrilevanti l’area e le aree del dissenso o più semplicemente del timore del presente e del futuro. Come deve avvenire in  democrazia, esse sono chiamate a prendere l’iniziativa. Oggi le forze di opposizione sono rappresentate in particolare da Forza Italia, espressione di un’area moderata da una parte, e dal Pd, espressione di un’area cosiddetta progressista dall’altra. Esiste infine un’area civile non vicina ai partiti e molto articolata, ma unita da un crescente rifiuto nei riguardi di quella che il professor Burioni ha definito, a proposito dei vaccini ma con valenza potenzialmente più ampia, “la congiura dei somari”. Tale area è oggi allibita per il dilettantismo governativo sia a Genova sia soprattutto in una legge di bilancio demagogica e distruttiva, che suscita grande allarme non solo in Europa. Per questo  deve trovare  il modo per far pesare la proprie preoccupazioni. Tutte e tre queste aree (tralasciamo forze politiche minori di destra e di sinistra) per avere un ruolo ed un peso devono chiarire la propria fisionomia e decidere chi e come essere e cosa fare.   Forza Italia, per recuperare consensi, si è mossa in modo totalmente spregiudicato nella campagna elettorale per il voto politico del 4 marzo, tanto che il programma del centro-destra, se integralmente realizzato, avrebbe provocato un disavanzo di bilancio superiore ai cento miliardi. Il voto ha premiato invece la Lega, che ha poi realizzato un capolavoro di strategia familiare, ottenendo il consenso della moglie (alleati di centro-destra) al suo trasloco e relativa convivenza con la nuova amica a 5 stelle. Ora Forza Italia conduce un’opposizione motivata al governo, ma i suoi punti deboli sono da una parte la forzata convenienza di alleanza elettorali con la Lega per le elezioni regionali e locali, dall’altra il ruolo di Berlusconi che sta svaporando per ragioni anagrafiche e per la perdita di forza propulsiva. Ruolo che ritarda per ora l’ascesa di un nuovo leader o gruppo dirigente, che rilanci una credibile “rivoluzione liberale”. Non è dato a Forza Italia molto tempo per rilanciarsi, prima che la Lega si annetta ulteriormente esponenti ed elettori. Deve fare presto e bene, prima che sia troppo tardi.   Il Pd, con l’area di centro sinistra, è reduce dalla partecipata manifestazione di Roma, ma non è messo bene perché non affronta con chiarezza le alternative che ha davanti, scegliendo coraggiosamente una strada: anche per questo il tormentone di un congresso che non decolla. Il Pd è nato come partito di centro-sinistra, ma, come le sinistre europee del secolo scorso, è chiamato ad una scelta definitiva fra massimalismo (rivisitato) e vero riformismo, che molti dirigenti evitano e vorrebbero evitare di fare, tenendo i piedi in due scarpe e le mani libere per un trasformismo funzionale alla gestione del potere possibile. Quando Martina dice agli ex elettori che “abbiamo capito” gli errori, sembra che tenda ad esaurirli in una insufficiente attenzione al bisogno che avrebbe caratterizzato i governi Renzi e Gentiloni. E’ solo parzialmente vero, visto anche che questi governi hanno introdotto il reddito di inclusione, prima misura generale per la povertà  in Italia. Ma non rivendica con la forza necessaria interventi come il job act, la complessiva riduzione fiscale per trenta miliardi, quella del costo del lavoro e la politica economico-finanziaria che hanno favorito un milione e duecentomila posti di lavoro in più (non è la vera risposta al bisogno ?) e, a maggio 2018, il recupero di metà del Pil perso dal 2008 al 2013. Oltre ad un significativo iniziale risanamento delle finanze pubbliche, che adesso, col nuovo governo, tornano ad essere  a grave rischio. Nessuna parola poi, sui gravi ritardi del Pd e del governo Renzi nell’adottare la linea Minniti su sbarchi e migranti, ritardi causa principale, questa sì, della grave perdita di consensi elettorali secondo le più recenti rilevazioni. Non per razzismo, ma perché molti si sono sentiti “posposti”.   Quando poi Martina dice che “bisogna combattere questa destra pericolosa al governo”, dimentica che il populismo e la demagogia (e anche la tirannia) possono essere sia di destra che di sinistra. Come è provato dalle tragiche vicende europee di un secolo fa (e da quelle mondiali di oggi, Venezuela in testa) e come è testimoniato oggi in Italia da una maggioranza governativa che va da Musumeci a Fico. E anche, a smentire ogni “apartheid” elettorale, dal passaggio di voti dal Pd ai 5 Stelle al Sud si è unito quello dal Pd alla Lega al Nord  ed al Centro. La verità è che tanti, e Martina e Zingaretti sembrerebbero tra questi, hanno bisogno di una destra da incornare per darsi così comodamente una patente di “sinistra”, restando eclettici, cioè equivoci, sulla natura e sui contenuti di questa parola. Così non va bene. Si riconoscono nella CGIL di Camusso e Landini oppure nelle “undici tesi riformiste” di Libertà Eguale e nel sindacalismo  costruttivo di un Bentivogli ? In un populismo fatto di assistenzialismo a 5 Stelle o in un liberalismo sociale incentrato su “meriti e bisogni” ? Vedono il migrare come un diritto o come una opportunità reciproca di lavoro, da verificare prima della partenza e da realizzare attraverso canali regolari di ingresso ? I dirigenti Pd e il congresso  devono fare senza equivoci la scelta giusta, non bisbigliare su Renzi. Solo così questo partito potrà avere un futuro.   Ma questo futuro, e il discorso vale parallelamente anche per Forza Italia e per le proprie scelte,  comincia con l’avvenimento di un vero dialogo. Non solo con i propri sostenitori e con quelli dei partiti al governo, ma in modo particolare con quell’area articolata di cittadini che ho sopra descritto come sempre più preoccupata e alla ricerca di una strada  per conoscere la situazione reale e poi per far sentire la propria voce. Sono ambiti spesso diffidenti e lontani dai partiti, ma ricchi di idee, sensibilità,  capacità di innovazione. E la gravità del momento spinge a non tenersi lontani dalla politica. E’ da questo incontro, da questa “contaminazione” fra politica e società che può nascere qualcosa di nuovo e di utile, con la nascita di convergenze imprevedibili, di nuove forme organizzative (anche a livello europeo) e di obiettivi civili e politici per fermare la deriva ed arrestare il declino nazionale. Le elezioni europee del 26 maggio 2019 potrebbero essere un primo punto d’arrivo di questo lavoro. Ma se ciò non avverrà, per calcolo ed egocentrismo di partiti o di cenacoli o più semplicemente per l’inerzia di ognuno di noi, è lecito temere il peggio.     Luciano Iannaccone

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