D'Alema: dalla rottamazione allo smontaggio
Nell’intervista concessa a l’Unità del 14 novembre D’Alema compendia l’ostilità strategica e i diversivi tattici cui una parte del PD e della sinistra italiana attingono per sconfiggere Renzi nelle prossime primarie dell’8 dicembre. Tattica e strategia per un verso ampiamente praticate da tutti i conservatorismi delle sinistre occidentali ma per l’altro peculiari di una sinistra, quella italiana, ancora largamente abitata dall’imprinting postcomunista. Quattro sono i pilastri di questo imprinting ai quali fa largamente ricorso D’Alema nella sua intervista. Il primo vede il presunto popolo di sinistra come vittima dell’abbandono nuovista di Renzi (nessun nemico a sinistra). Il secondo si ostina a considerare stato e resistenza al liberalismo come bandiere non ammainabili della sinistra (tax and spend). Il terzo si oppone con tutte le forze all’idea che capo del partito e premier, o candidato premier, debbano coincidere (il partito di lotta e di governo). Il quarto vede nelle primarie “secondo statuto” una stortura del tutto peculiare del caso italiano, un genere non praticato da nessuna parte (il rischio inquinamento dei voti di destra). E fin troppo facile mostrare quanto questi pilastri sostengano la rete nella quale continua a impigliarsi il PD, condannando la sinistra italiana all’insuccesso. E siano anche privi di fondamento. Tanto per cominciare il PD non ha perso le elezioni perché non ha guardato a sinistra. Al contrario tra gli elettori che hanno abbandonato il PD molti sono coloro che ancora aspettano candidato e programma che facciano fino in fondo i conti con le zavorre della sinistra italiana, prima fra tutte quella della sua incapacità di rispondere alla richiesta di cambiamento. A pena della scarsa credibilità della proposta elettorale del PD per la sua stessa tradizionale base elettorale. E fino a prova contraria nelle democrazie liberali non perde chi ha torto ma ha torto chi perde. D’Alema e Bersani hanno perso: l’ennesima loro illusione del guardare a sinistra ha portato il PD alla sconfitta impedendogli di percepire il terremoto elettorale che ne scuoteva le radici. Nessuno vuole liquidare la sinistra, semmai da consegnare al passato è l’influenza di quella sinistra post comunista che continua a preferire la propria sopravvivenza alla vittoria del PD. In secondo luogo mentre tutte le sinistre che si ripensano cercano di dare nuove parole e nuovi strumenti al funzionamento del mercato capitalistico come fattore di produzione della ricchezza e di ampliamento delle opportunità, D’Alema e il gruppo dirigente del PD si ostinano a considerare clintonismo e blairismo malattie mortali della sinistra occidentale. E’ chiaro che non siamo più negli anni novanta, ma quella stagione ha prodotto grandi e convincenti esperienze di governo della sinistra in Europa e negli Stati Uniti. Blair e Schroeder firmarono il famoso manifesto sul neue mitte che resta il punto di partenza delle riforme strutturali alla base del successo dell’economia tedesca. Da quella stagione occorre ripartire per inventare soluzioni migliori e non certo per tornare indietro. Soluzioni migliori a partire da quelle relative al modello di partito, ed è il nostro terzo punto. La personalizzazione del sistema politico e dell’organizzazione dei partiti è un dato strutturale delle democrazie contemporanee, nelle quali il processo di modernizzazione e differenziazione sociale ha eroso ogni legame rigido tra struttura sociale, riferimento ideologico e organizzazione di partito. Il partito è uno strumento di razionalizzazione del processo elettorale e di governo delle dinamiche interne alle istituzioni di governo. A questo scopo la coincidenza tra leader del partito e leader del governo è un requisito essenziale di razionalizzazione e di responsabilizzazione. In un quadro ideologizzato e radicato in fratture sociali stabili e profonde, la dispersione del potere – che si converte immediatamente nella moltiplicazione dei veto player – è un elemento costante del modello istituzionale. In un quadro non ideologizzato e solcato da una moltiplicazione di fratture sociali in costante scomposizione e ricomposizione, l’autonomia della società dalla politica e, al tempo stesso, la capacità della politica di decidere diventano elementi essenziali di efficienza del sistema. Per questo, saggiamente, lo statuto del PD dice che votare per il segretario significa automaticamente scegliere il candidato premier. La direzionalità della freccia partito – governo non può essere più chiara. Invertirla significherebbe tornare indietro in un mondo che non esiste più. Il quarto e ultimo punto, strettamente legato al precedente, ha di mira il meccanismo stesso delle elezioni per la scelta del leader PD. Se il partito è un’istituzione politica funzionale alle elezioni e alle istituzioni di governo è del tutto evidente che il coinvolgimento diretto degli elettori comincia dalla fase stessa di scelta del leader. Non ci sono classi da rappresentare, ceti politici da coltivare, oligarchie alle quali affidare missioni. Ci sono leadership da costruire e rendere contendibili in un mercato politico più aperto possibile. Senza temere contaminazioni, eterogeneità, intrecci. Per questo si inventano le primarie. Un mercato aperto è un mercato privo di barriere di ingresso, esplicite o implicite. Nel quale l’accesso degli elettori è facilitato e non ostacolato. Ecco perché la preventiva registrazione degli elettori per la partecipazione alle primarie non è per niente la regola, neppure negli Stati Uniti. Ai partiti e agli stati che utilizzano le primarie chiuse, cioè con registrazione preventiva, si affiancano i numerosissimi esempi di primarie aperte, senza preventiva dichiarazione o con dichiarazione da rendere il giorno del voto. Restando negli Stati Uniti le semi-closed primaries, le open primaries, le blanket primaries e le primarie non partisan (si scelgono nomi indipendentemente dai partiti). Senza voler dunque allargare lo sguardo ad altri paesi e ad altri partiti (Spagna, Canada, Australia, Gran Bretagna, Finlandia) il caso delle primarie secondo lo statuto del PD è tutt’altro che anomalo. Il punto è ancora una volta la resistenza della sinistra post comunista italiana alla ricezione di un modello di partito che riduce il potere degli apparati a vantaggio di quello degli elettori. Il quadro politico nazionale ha subito importanti scossoni ma la condizione interna del PD, le sue linee di frattura, non sono poi molte diverse da quelle di un anno fa. La rottamazione non è stata evidentemente sufficiente. Alla rottamazione in genere seguono la rimozione delle sostanze pericolose e lo smontaggio. C’è ancora da fare. A questo servono le primarie aperte. Anche se per questo PD potrebbe essere troppo tardi.
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