Cosa c'è dopo la crisi di governo, di Giorgio Armillei

Per capire bene questa crisi occorre guardarla stando ben piantati nello scenario dell’Unione. Può sembrare una banalità ma mai come in questi giorni si tocca con mano quella che viene definita europeizzazione delle politiche nazionali. Non siamo cioè di fronte alla classica dinamica delle relazioni internazionali che possono influenzare – dall'esterno, come una sorta di vincolo – le politiche nazionali. Siamo di fronte all’intreccio paritario tra livello europeo e livello nazionale nel funzionamento del sistema politico. 

Lo spiega molto bene Sergio Fabbrini sul Sole24ore di domenica 25 agosto. Avremmo dovuto accorgercene già dalla dichiarazione di Mattarella alla fine del primo giro di consultazioni. La crisi di governo si risolve dentro il quadro politico multilivello dell’Unione e del nostro paese come stato membro che esige risposte al “ruolo che l’Italia deve avere nell’importante momento di avvio della vita delle istituzioni dell’Unione Europea per il prossimo quinquennio” e alle “incertezze, politiche ed economiche, a livello internazionale.” Sono queste le domande di policy cruciali in questa fase. 

Mattarella fornisce una chiara traccia per fabbricare le risposte, mette come si suol dire alcuni paletti. E se leggiamo oltre il fraseggio necessariamente istituzionale delle sue dichiarazioni troviamo l’identificazione del nazionalpopulismo come della tendenza da contenere perché quelle risposte siano congruenti con quanto il sistema politico multilivello esige. Una specie di indirizzo politico costituzionale, di una costituzione che vive dentro una costituzione materiale dell’Unione oltre che di specifici vincoli normativi nazionali. Dentro questo indirizzo politico costituzionale le elezioni anticipate non sono una risposta praticabile, considerando il quadro delle forze in campo, e sono comunque l’ultima ratio perché così dice la costituzione in un regime parlamentare proporzionalizzato. 

Fin qui le cose sono abbastanza chiare: senza la dinamica di europeizzazione del sistema politico la crisi di governo non si capisce. Tra i punti invece ancora aperti vi è quello per così dire del medio periodo. Nel breve la risposta è netta: una maggioranza parlamentare e un governo che metta in minoranza le tendenze nazionalpopuliste, sulla base di un chiaro indirizzo del Quirinale tanto che più che di governo organico - secondo le dichiarazioni di Mattarella: un governo che scaturisca da “accordi politici dei gruppi parlamentari su un programma per governare il Paese” - sembra meglio parlare di governo ad indirizzo politico costituzionale del Presidente. Non dimentichiamo che nella nostra forma di governo permangono tracce di dualismo che fanno dei governi un’emanazione tanto del Parlamento quanto in parte e in forme variabili del Presidente della Repubblica. Nel medio periodo invece le prospettive si fanno confuse: eppure il medio periodo è fondamentale se non altro perché è quello nel quale si tornerà a votare.  

In altri termini, come si consolida nel medio periodo l’indirizzo costituzionale per il contenimento delle tendenze nazionalpopuliste? La svolta che si concretizzerà con la soluzione della crisi di governo avrà il compito di generare anche risposte istituzionali di lungo periodo? Questo contenimento viaggia solo sui binari delle policy oppure ha bisogno di paralleli percorsi di politics dentro i quali si colloca la dimensione delle regole istituzionali? 

Su queste domande, non ancora oggi sul tavolo ma chiaramente percepibili sullo sfondo, sembrano affacciarsi due tipi di risposte, unite dagli intenti ma molto diverse nei mezzi. La prima è una risposta “macroniana”. Contro il nazionalpopulismo non ci possono essere mezze misure, servono regole istituzionali, leader e scelte buone per una strategia di confrontation. Dal che, ad esempio, una legge elettorale che a seguire dalla riforma costituzionale sul numero dei parlamentari faciliti la formazione pre elettorale di maggioranze e governi. La seconda è la via che va da Jalta al 1989: smontare gradualmente il rischio nazionalpopulista, alleandosi con un pezzo contro l’altro. Dal che – al contrario della linea macroniana – una legge elettorale che faciliti la formazione post elettorale di maggioranze e governi, tipica delle situazioni in cui l’estrema polarizzazione dello scenario politico si accoppia alla presenza di partiti antisistema. 

“In circostanze normali resto convinto che anche in presenza di tre schieramenti quasi equivalenti debbano scegliere direttamente gli elettori, adeguando a tal fine di scelta diretta sia la legge elettorale sia la Costituzione. L’ho sempre pensato sin dai primi anni ’90 e anche quando molti ritenevano che il berlusconismo rendesse non desiderabile questo schema. La minaccia Salvini, per chi la ritiene tale, e finché essa perduri, impone però in questa fase di considerare lo schema alternativo di un parlamentarismo razionalizzato a base proporzionale. Mi costa molto ma è conseguente alla lettura della minaccia, finché appunto essa perduri” sostiene con grande franchezza Stefano Ceccanti intervenendo qualche giorno fa sulle necessarie politiche istituzionali accessorie alla riduzione del numero dei parlamentari. Sebbene il richiamo alla presenza di un partito, o meglio di un’élite antisistema, non sia l’unico sufficiente a qualificare un sistema come a polarizzazione estrema, e nel nostro caso dunque a rischio di scardinamento del quadro europeizzato di governo – basti ricordare che Giovanni Sartori ne individuava ben otto – la questione della migliore via alla normalizzazione istituzionale di medio periodo del sistema politico italiano resta aperta e strettamente intrecciata alla crisi di governo. Impossibile dare una prospettiva alla soluzione di quest’ultima senza avere una risposta chiara, argomentata e convincente alla prima. 

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