Cattolici e giustizia penale, di Giorgio Armillei
Prosegue ormai da settimane senza risultati la trattativa
tra PD e M5s sui temi della giustizia penale, nonostante i vincoli del giusto
processo previsi dall’art.111 della Costituzione siano messi palesemente in
discussione dalla sospensione della prescrizione che andrà in vigore il 1
gennaio 2020. L’attivismo delle Procure non dà segni di arretramento, rendendo
sempre più evidente l’esigenza di sottoporre a una qualche forma di
responsabilizzazione – che non può certo essere solo quella disciplinare -
decisioni che hanno l’indiscutibile marchio della discrezionalità. Pensiamo alla
decisione di intervenire nel procedimento civile che riguarda ILVA in ragione
dell’esistenza di un interesse pubblico. O alla decisione di iscrivere cosiddette
“pseudo notizie di reato” relative alle recenti decisioni imprenditoriali di
Arcelor Mittal nel registro delle notizie di reato. In sostanza confermando
come le Procure si siano trasformate in soggetti che “agiscono esercitando una
sorta di controllo preventivo di legalità che di fatto trasferisce al potere
giudiziario funzioni e attività prevalentemente amministrative e politiche di
amplissimo respiro” (L. Violante).
A fronte di questi esempi di squilibrio istituzionale tra i
poteri, da Papa Francesco e da Civiltà cattolica arrivano in rapida successione
due vere e proprie lezioni di cultura liberale della giustizia penale. A
dimostrazione, ove ce ne fosse ancora bisogno, dell’intreccio tra cristianesimo
e liberalismo. Due lezioni che spiazzano da un lato il dibattito dentro la
maggioranza di governo, dove una parte del PD resiste alle posizioni illiberali
del M5s ma anche di pezzi del medesimo PD in materia di garanzie nel procedimento
penale. E dall’altro alcune delle posizioni del mondo cattolico in materia di fine
vita che in nome del pericolo della “china scivolosa” verso soluzioni
eutanasiche, stentano a coniugare diritto e morale nel quadro delle società
aperte, continuando a privilegiare una cultura di tipo paternalistico.
Papa Francesco parla ai convegnisti del XX congresso
mondiale dell’Associazione internazionale di diritto penale. E non usa mezzi
termini nel suo itinerario di discernimento: prendere le sue parole e
trasferirle nel dibattito italiano sulle politiche della giustizia produce un
effetto deflagrante. Si comincia con l’uso arbitrario della custodia cautelare
che, per la mancanza di presupposti e la durata, lede la presunzione di non
colpevolezza, cardine della cultura liberale. Si passa poi alla “demagogia
punitiva” che ha presieduto alle riforme dell’istituto della legittima difesa
realizzate in diversi paesi. Papa Francesco stigmatizza ogni possibile
compromesso che – anche nell’ambito ecclesiale – viene avanzato con tutte le
posizioni ambigue in tema di discriminazione nei riguardi degli ebrei, dei rom,
delle persone di orientamento omosessuale. Ce n’è poi per l’uso della giustizia
come strumento di azione politica che spesso in alleanza con gli attori della
comunicazione e dei media, alimenta una cultura del populismo e
dell’antipolitica. Che il panpunitivismo non funzioni il Papa lo dichiara poi
in conclusione: serve una giustizia che abbia una forte componente restaurativa
e riparativa: “si tratta di fare giustizia alla vittima, non di giustiziare
l’aggressore”.
Se Papa Francesco fornisce ingredienti sostanziosi per
confezionare un pacchetto di orientamenti liberali, Civiltà cattolica con un
saggio di Francesco Occhetta, successivo alla sentenza della Corte
costituzionale sul suicidio assistito, prende le distanze da due opposte
posizioni illiberali in tema di fine vita. Da un lato nei confronti dei
sostenitori di un’assolutezza dell’autodeterminazione del soggetto che in forme
tutt’altro che liberali si muove in due direzioni sbagliate: cancellare ogni
rilevanza giuridica alle dimensioni della relazionalità e della responsabilità;
e rimuovere di fatto il principio del bilanciamento degli interessi dal novero
dei principi costituzionali con i quali fare i conti anche di fronte al mistero
del fine vita. Simmetricamente Occhetta prende le distanze anche dalla
tradizione del paternalismo statalista che finisce con il trascurare la dignità
della persona per affermare i diritti di un principio morale, un po' come
avvenne nel contesto del Concilio Vaticano II a proposito della libertà
religiosa, da prendere con le molle secondo questa tradizione perché silente di
fronte ai diritti della verità religiosa. La soluzione liberale è quella
prospettata dalla sentenza della Corte che opera un bilanciamento degli
interessi e tiene conto dei principi costituzionali di dignità della persona e
di responsabilità. “Nella sentenza si trovano molti elementi per un dibattito
maturo e adulto da fare in Parlamento” scrive Francesco Occhetta.
Emerge così un dato interessante: Chiesa e mondo cattolico, spesso
presi a bersaglio come fonti di posizioni conservatrici, sono invece tra le forse
poche voci liberali in un dibattito schiacciato tra tentazioni libertarie,
paternalismo statalista e populismo giudiziario. Il collante liberale della
cultura giuridica e istituzionale del paese è oggi alimentato dalla tradizione
cattolico liberale. Non c’è da stupirsi: è stato così anche in altri passaggi
cruciali della storia politica del paese. Populisti di destra e di sinistra,
sovranisti di destra e di sinistra, statalisti di destra e di sinistra
farebbero bene a tenerlo presente.
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