Altro che Greta, di Giorgio Armillei

Altro che Greta Thunberg. Ora il personaggio dell’anno
rischia di diventare Boris Johnson. La sua vittoria, prevista sì ma non con
quelle dimensioni, può infatti trasformarsi in qualcosa di diverso dal cupo e
noioso “miserabilism” del populismo britannico, di destra e di sinistra.
Ovviamente senza farsi alcuna illusione e senza dimenticare i limiti dentro i
quali Johnson si muove e ha deciso di muoversi accettando opportunisticamente
di essere il leader di Brexit.
Andiamo per ordine. Innanzi tutto, una periodizzazione. Con
la vittoria di BoJo e l’uscita di UK dall’Unione europea finisce un ciclo
iniziato simbolicamente nel 1989: il ciclo del riformismo liberale, di volta in
volta orientato e guidato da destra o da sinistra. Un ciclo nel quale ci sono
tante cose: Thatcher e Reagan ma anche l’approfondimento e l’ampliamento
dell’Unione europea; Clinton e Blair ma anche gli errori dell’interventismo
liberale; e così via. Ma la fine del ciclo non è la fine né del liberalismo né
del liberismo. È la fine di una sua configurazione istituzionale. La partita è
sempre aperta: spetta alle leadership liberali giocarla e vincerla di nuovo.
La fine di questo ciclo liberale coincide tuttavia con la
fine del ritorno socialista della sinistra occidentale. Dopo Sanders, i
socialisti francesi, l’SPD è ora la volta di Corbyn. Tra la ricetta statalista
dei laburisti e la miscela di elitismo, nazionalismo, difesa granitica del NHS
e liberismo di Johnson, la working class britannica ha scelto – dentro si badi
bene lo schema Brexit ma senza che questo spieghi tutto - la seconda. Si avrà
così modo di chiudere la stagione del tornare a sinistra, tornare sul
territorio, riprendere il contatto con i gruppi sociali marginali e via
dicendo. Pur con tutte le sue specificità il voto UK dà un segnale chiaro: se
tutte queste cose le si fa con le vecchie ricette della sinistra socialista gli
elettori se ne vanno altrove. Anche a costo di votare per un partito che ha un
etoniano come primo ministro, altro che rivolta contro le élite.
È molto probabile che la prossima volta tocchi a Zingaretti.
L’inseguimento del M5s non si sta interrompendo neppure di fronte ai segnali
elettorali. C’è evidentemente qualcosa di più profondo dietro all’imperativo
tattico di sostenere il governo, al netto dei liberali del PD che sopravvivono
e fanno la loro parte. C’è la nostalgia dell’identità della sinistra che non è
altro che la nostalgia di un mondo sottratto alle sfide, cioè ai successi e
agli insuccessi, della globalizzazione. La stessa nostalgia che fa da
carburante al populismo italiano, in versione Lega o in versione M5s. Con
quella nostalgia il PD andrà a sbattere: la polemica sull’egoismo territoriale
di Milano, la voglia di IRI per industria e banche, la sudditanza verso
politiche illiberali della giustizia stanno facendo il resto.
Cosa insegna dunque la vittoria di BoJo? Che BoJo non è
Salvini o Le Pen. Non solo perché ha dietro di sé un partito che funziona
secondo le regole della democrazia maggioritaria, ma anche perché sotto e
intorno a sé ha una realtà composita che seppur attraversata dalla frattura tra
voglia di chiusura e voglia di apertura globale si dimostra capace di decidere,
rinunciando ad inseguire le suggestioni anacronistiche di Corbyn e l’inutile
minoritarismo dei Libdem. Ovviamente grazie a regole istituzionali che
continuano a funzionare: si vota per decidere chi governa non per dare le carte
e lasciare la partita in mano ai giochi delle correnti dei partiti.
In secondo luogo, che senza UK sarà più difficile e non più
facile muovere l’Unione verso obiettivi di maggiore funzionalità delle sue
politiche e di più ampia legittimazione delle sue istituzioni. A meno di non
coltivare il sogno di uno stato federale europeo che nessuna leadership vuole.
Ed è meglio che sia così. Certo, Churchill e Thatcher non avrebbero condotto le
cose fino a questo punto. Avrebbero continuato a puntare all’egemonia dentro
l’UE piuttosto che a una scomoda e costosa competizione con l’Unione. Soprattutto
se vista come la rivincita del passato. Ma la presunzione di Cameron – che pure
aveva portato a casa un onesto compromesso che andava razionalmente incontro
alle richieste dell’elettorato - anni di martellante campagna euroscettica, l’imbarazzante
posizione della sinistra laburista hanno portato le cose al punto in cui sono. E
ora da qui occorre ripartire.
BoJo dovrà fare i conti con i costi attuali e futuri
dell’uscita. Dovrà negoziare, cedere, aspettare, forse vedrà i primi risultati,
forse no. Dovrà far finta di non essere stato il sindaco liberale e cosmopolita
di Londra. O forse no. Tornerà a giocare il ruolo di leader liberale,
rispolverando senza dirlo il “red torism” di Cameron per darla vinta ai nemici
del liberismo ma allo stesso tempo rifuggendo dal protezionismo identitario di
Trump, con buona pace dei nostalgici dei pub, dei cakes e delle TV sitcoms
minacciati dalla globalizzazione degli anywhere.
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