6 Aprile 2012. Un Venerdì di passione per la civitas italiana

1. Con le operazioni delle ultime settimane il presidente Napolitano ha privato Monti di quella apparenza che nel gioco politico poteva valere come risorsa. L’«annuncio» della non disponibilità a ricandidarsi per un nuovo settennato ha posto termini temporali certi alla formula politica rappresentata dal governo Monti e così ha ridotto sensibilmente e immediatamente il potere contrattuale dell’esecutivo rispetto ai partiti che lo sostengono.   2. Esauritasi la sua già ridotta autonomia, è possibile un primo bilancio dell’esecutivo Monti. In termini di riforme esso si esaurisce nell’intervento sulle pensioni. Questo è servito a rendere sostenibile l’impatto dell’onda demografica anomala del baby boom su quell’importante settore della spesa pubblica. Non c’è altro. Pur avendo rifiutato di seguire la soluzione spagnola (accordo bipartisan su materie economiche e poi voto), una volta intervenuti sulle pensioni (Novembre 2011), si poteva tranquillamente votare nella Primavera 2012. Occorre comprendere il senso di una vicenda tutt’altro che obbligata.   3. La pressione fiscale ha vonosciuto uno spaventoso aumento. La cosiddetta riforma Fornero (che pure migliora lievemente il sistema degli ammortizzatori) ha toccato solo marginalmente le rigidità in uscita ed ha aumentato decisamente quella in entrata. La linea Biagi, D’Antona, Ichino, viene sostanzialmente accantonata (checché ne scriva quest’ultimo). Le “liberalizzazioni” scalfiscono appena quanto dovevano infrangere. Il federalismo, fondamentale per recuperare efficienza nella pubblica amministrazione, e ogni forma di sussidiarietà sono letteralmente azzerati. Banche, professioni, dipendenti pubblici e CGIL conservano i loro privilegi in termini formali mentre in termini reali li aumentano rispetto al resto di un paese che precipita.   4. Risparmi e consumi continuano a contrarsi altrettanto precipitosamente. L’anno che viene, il 2013, sarà il più brutto dal 2008. Perché sarà un anno in più di crisi, e già 4 sono tanti. E perché non sarà una crisi solo finanziaria (2008) o di debito pubblico (2011), ma sarà crisi delle imprese (a partire dal manifatturiero) e crisi dei bilanci delle famiglie e degli individui. Sulle spalle di imprese, famiglie ed individui sono stati aumentati i fardelli mentre dai loro corpi è stata sottratta altra energia. Non bastasse, essi sono costretti a muoversi in un contesto fatto di prove più impervie e di ancora minori opportunità.   5. Il senso del governo Monti richiama alla lontana quello del patto Agnelli-Lama (1975). Esso non portò la pace sociale che prometteva (basta fare attenzione alle date) e stroncò un meccanismo di sviluppo che aveva funzionato nei due decenni precedenti e che invece andava riformato, ma in altra direzione rispetto a quell’accordo. Con quell’accordo il “vecchio” si prese la rivincita sul “nuovo” degli anni ’50 e primi ’60 che inceve necessitava di upgrading. Poteri vecchi approfittarono della crisi di poteri nuovi per riprendere il controllo. I poteri nuovi non seppero rinnovarsi ulteriormente; i poteri vecchi colsero la palla al balzo per riprendere l’egemonia: per sopravvivere, non per crescere. Una egemonia conservatrice e statalista, mentre altrove erano gli anni in cui si preparava la svolta poststatalista, poliarchica, non necessariamente di destra anche se aperta di lì a poco da M. Thatcher: rudemente ma efficacemente, infinitamente raffinabile ma sostanzialmente riformatrice. Ora è peggio. Passera/Camusso, per usare due nomi puramente evocativi, sono infinitamente più deboli di quanto non fossero già allora Angelli e Lama. Deboli rispetto alla società italiana, deboli in termini di legittimazione propriamente politica, deboli rispetto all’esterno. La forza di Agnelli e Lama già molto dipendeva dalla specialità politica italiana, dalla protezione dei suoi mercati e dal suo dirigismo economico. Oggi, i privilegi della finanza e dei garantiti (già occupati, pubblica amministrazione, professioni, rendita) hanno radici localissime, quella finanza e quei garantiti non si azzardano neppure a mettere il naso oltre confine. La loro egemonia si limita ad essere un progetto condiviso a “morire per ultimi”. Non è una egemonia per una ipotesi di sviluppo. Il resto del paese finirà prima. E se poi succede qualcosa di positivo e di imprevisto, tanto meglio.   4. All’ombra di questo disegno, si concede al ceto partitocratico, non ai partiti che non esistono più (“partitocrazia senza partiti”), lo strapuntino del ritorno alla proporzionale. Non ci si è limitati ai finti tagli ai costi perversi della politica. Si stanno facendo le cose in grande. Come Monti ha ricevuto da Napolitano una sorta di previa canonizzazione (con la fulminea investitura a senatore a vita), analogamente il ritorno alla proporzionale, che finisce con il sopprimere ogni minima possibilità per gli elettori di incidere su scelta di maggioranza e premier, costituisce per le oligarchie sopravvissute ai loro partiti un sufficiente vitalizio.   5. La transizione ad una democrazia più matura, … intuita come necessaria da De Gasperi nel 1952, richiesta con forza da Sturzo sino al 1958, compresa come inevitabile da Moro a metà anni ’70, cui in modi diversi lavorarono personalità come Ruffilli e Tarantelli, cui lavorò Andreatta, che colse successi importanti con i referendum Segni, che riuscì per vent’anni a far funzionare quel primo atto di parziale controriforma che fu il mattarellum, che sopravvisse ai “ribaltoni” inaugurati da Scalfaro, … subisce un arresto. Ma chi vince non vince per portarci da un’altra parte, vince solo per “morire per ultimo”.   6. Il governo Monti è stato l’ombrello e lo strumento operativo di questa operazione, di un nuovo patto tra rentiers.   7. In questo processo un’attenzione particolare merita una seconda operazione condotta dal Capo dello Stato in queste ultime settimane, a spese di Monti ed a vantaggio di Bersani. Con diversi interventi, ed in barba alla pretesa urgenza della riforma delle regole del mercato del lavoro, Napolitano ha consentito a Bersani di assumere un ruolo di mediazione tra Monti e Camusso. Napolitano ha confezionato in esclusiva per Bersani, un ruolo pienamente politico, uno status privilegiato rispetto a quello di Alfano e Casini. Oggi Bersani è tra i subvincitori.   8. In questa partita i veltroniani giocando solo dal lato di Napolitano hanno finito con il giocare per Bersani. A che scopo? Quando e se lo vorranno spiegheranno le ragioni di scelte dagli effetti abbondantemente previsti ed ora anche evidenti.   9. La parte mediaticamente più visibile del cattolicesimo italiano (importanti settori ecclesiastici, l’UDC, l’estemporanea compagnia di Todi) ha svolto un certo ruolo nel legittimare l’operazione Monti. Ansia da riposizionamento? Ingenuità? Generica frenesia presenzialista? In ogni caso il risultato è doppiamente negativo, anzi tre volte negativo. L’Udc, come Monti, ha perso il proprio ruolo. Ha pensato di usare Napolitano e ne è stata usata. La Chiesa (tutta, purtroppo) in questo momento è travolta dal crescente giudizio negativo degli italiani su un mondo che finisce e su una élite che tradisce. Dell’operazione Monti, pur essendone minimamente parte, una quota dell’apparato ecclesiastico ha voluto apparire tra i comprimari. Si ritrova ora strumento di un disegno statalista e coerentemente laicista. è costretta a rimozioni incredibili: dimentica CA 48 e quasi si schiera sulle posizioni della CGIL a difesa dell’art.18[1]. Ed in più deve pagare l’IMU senza aver saputo o potuto far valere la specificità delle “opere di religione” (ben nota da Elisabetta I, garante insospettabile del valore civico dell’advancement of religion), per poi cercare di mimetizzarsi nel gran calderone del no profit. La compagnia di Todi, poi, a dimostrazione che della menzione dei valori non si può abusare, non è mai stata d’accordo su nulla. Non si fa politica senza una cultura politica, che la si dica «aconfessionale» con Sturzo o «indeducibile» dalla Rivelazione con Ratzinger (a Berlino). Quelli di Todi non ne avevano una in comune e non hanno messo in cantiere la fatica per provare ad elaborarla. Le vicende del governo Monti si sono semplicemente incaricate di mostrare che non c’era una cultura politica comune tra quelli che stavano dentro in governo Monti, e meno ancora tra quelli che stavano dentro e quelli che stavano fuori. In breve, la parte mediaticamente più visibile del cattolicesimo italiano ha fatto apparire la Chiesa e i cattolici tra gli artefici di una operazione che ha sacrificato un po’ di democrazia dell’alternanza (decisa dal voto) a (presunte) riforme, e soprattutto ad un nuovo patto tra rentiers.   10. Dopo Berlusconi, con le dimissioni del 5 Aprile si chiude la parabola di Umberto Bossi e la Lega prende il colpo più brutto di sempre. Non è necessario avere nostalgia per questi due attori per ricordare il giudizio di Gianni Agnelli (ma non degli imprenditori riuniti nel ’94 a Verona) su Berlusconi come intruso ed eversore dell’asse tra “salotto buono” e CGIL; come non c’è nostalgia alcuna nel ricordare il ruolo oggettivamente innovatore della Lega (sono a disposizione montagne di letteratura scientifica sul punto). Semplicemente: senza Berlusconi e senza Bossi, visti i rapporti di forza tra conservatori e riformisti, la controriforma è più facile. Che l’uno e l’altro abbiano lavorato da tempo e sempre più alacremente alla propria fine cambia proprio nulla.   11. Le vie della transizione riformista furono tentate da Segni: con i successi più importanti, ma guadagnati trasversalmente e dunque di valore politico solo introduttivo. Sulla base di quei successi le vie della transizione riformista furono tentate poi da Berlusconi e Bossi e da Prodi e Veltroni: con risultati modesti per i primi e modestissimi per i secondi. Oggi, le vie della transizione riformista risultano ostruite: a destra dalle macerie, a sinistra dall’asse Napolitano-Bersani-Camusso-D’Alema-Violante. E’ questo l’asse della conservazione che andrebbe sfidato da un fronte riformista.       Nota per gli intimi La crescente attualità della agenda delle Settimane Sociali (2010!) e il realismo con cui era stata messa a fuoco un’ultima chance molto probabilmente sono condannate a restare il documento di un collettivo atto d’amore alla civitas (ed alla ecclesia), di un umile e collettivo esercizio d’intelligenza e di partecipazione. In questo Venerdì 6 Aprile 2012 entrambi sconfitti.


[1] «Non potrebbe lo Stato assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini senza irreggimentare l'intera vita economica e mortificare la libera iniziativa dei singoli».
 

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