Per il presidenzialismo. Forse ci siamo (da "HuffPost" del 7.6.2013)

Forse ci siamo. Di una prossima riforma istituzionale non si può certo essere sicuri, ma si può essere sicuri del fatto che non Le eravamo mai arrivati così vicino. Dal 1954: perché fu De Gasperi il primo a cercare di dare più potere agli elettori nella scelta del governo nazionale.  E fin dalla prima volta a fare resistenza furono i soliti: centristi vari e la sinistra conservatrice guidata dal PCI di Togliatti.   Per gli storici sarà un bel lavoro capire come mai ci si è riusciti proprio ora, se mai ci si riuscirà davvero tra il 2013 ed in 2014.«Perché non eravamo mai caduti così in basso», si dirà. Eppure non sono poche le ragioni per affermare che da svariati decenni stiamo messi davvero male. In ogni caso, speriamo solo che gli storici della prossima generazione siano davvero costretti a tormentarsi con tale quesito. Vorrà dire che ci saremo riusciti, che la «grande riforma» ci sarà stata, che avremo fatto upgrading del software politico della società italiana.   Vorrà dire che sarà stata vinta l’opposizione dei conservatori e quella, ancora più pericolosa dei tergiversatori e dei depistatori. Vorrà dire - perché questo è il punto - che si sarà arrivati ad istituzionalizzare il diritto dei cittadini di scegliere il capo dell’amministrazione politica centrale. Non ne farei una questione di nomi, perché alla fine è questo il diritto a questa scelta che con nomi diversi pressoché tutte le democrazie occidentali garantiscono ai cittadini elettori-contribuenti. Non ne farei una questione di nomi, anche se ci sono ottime ragioni per parlare di «presidenzialismo» (o meglio: «semipresidenzialismo») e per ritenere che la soluzione che più si adatta alle nostre esigenze sia simile quella che traghettò la Francia dai marosi della IV Repubblica alla terra ferma della V Repubblica. Questo del «presidenzialismo» (o meglio del «semipresidenzialismo») è il nodo, il passo da compiere. Questa è la breccia da praticare nella muraglia alzata da decenni dai conservatori di ogni colore e dietro la quale agonizza la società italiana e ogni sua possibilità di ripresa: perché l’opposizione deve offrire una alternativa realistica, non impedire che si governi. Sciolto questo nodo, ci si ritroverà in mano il bandolo che può guidare a completare l’opera: introdurre i contrappesi necessari ed in primo luogo un coerente federalismo (innanzitutto fiscale), superare il bicameralismo, ridurre il numero dei parlamentari, adottare una legge elettorale efficace (il maggioritario a doppio turno), un modello di finanziamento dei partiti che li renda contendibili (che tuteli l’elettorato passivo e non il ceto partitocratico), dividere le carriere e le funzioni dei giudici da quelle dei pubblici ministeri, privatizzazione la Rai, regolare i tanti conflitti di interesse. Dunque: mai distogliere l’attenzione dall’obiettivo: «presidenzialismo» (o meglio «semipresidenzialismo»).   All’opinione pubblica occorrerà freddezza e fermezza. «I morsi della crisi economica? La agonìa delle imprese? La strage di lavoro?» E come altrimenti la politica potrà tornare al suo piccolo ma indispensabile lavoro se non profondamente riformata nei suoi poteri: più piccoli, più affilati, più responsabili. «E l’impressione strana che nel perimetro dei riformatori ci sia più centrodestra che centrosinistra?» Pazienza. Non è certo la prima volta che capita. «E la comparsa sgradevole e prevedibilissima di opportunisti tra le fila dei riformatori di oggi? Di chi ne ha sostenute di ogni tipo sino a pochi mesi fa?» Non importa. «E il tradimento di riformisti della prima ora?» Non importa. «E le contumelie di autonominatisi difensori della Costituzione?» Non importa. Anzi, la Costituzione ed i suoi principi si difendono aggiornandola, non lasciandola invecchiare. (Senza dimenticare che spesso a lamentarsi è chi non batte ciglio allo stravolgimento dello spirito e della lettera dei principi della Prima Parte della Costituzione, mentre si lacera le vesti persino per le virgole delle Parti successive della Carta.) «E l’urgenza di cambiare il porcellum?» Non importa. Anzi: occhio al tranello. Il porcellum va sì cambiato, ma non in peggio, come invece tanti di Pd e Pdl stavano cercando di fare ancora una volta pochi mesi fa, cercando di riportarci alla preistoria della proporzionale e alle sabbie mobili delle preferenze. Se dipenderà dalla opzione «presidenzialista» (o meglio «semipresidenzialista») la nuova legge elettorale sarà migliore e non peggiore del porcellum.   Quello che importa, l’unica cosa che conta, è la riforma, il «presidenzialismo» (o meglio il «semipresidenzialismo»). Non importa altro, perché può avvenire che le buone intenzioni producano pessimi effetti e che egoismo e vanagloria, opportunismo e bassi interessi, sortiscano qualcosa di buono. Per questo il tribunale della storia non è competente sulle persone, ma solo sui fatti. E l’unico fatto che importa è una riforma che limiti e affili i poteri, rimetta al centro l’elettore-contribuente, disperda per sempre il fantasma di un potere neutro, di un potere super partes, che dal vertice dello Stato colava e ancora cola per tutti li rami, inaridisce la società e la vita, genera una cortina protettiva per il peggior ceto politico. Nel bene e nel male l’azione del Presidente Napolitano ha alzato il velo, ha reso evidente che non c’è ruolo né sede dal quale non si faccia puramente e semplicemente politica, in cui non si possano che fare scelte che tutto sono tranne che tencniche o neutre. Introdurre il «presidenzialismo» o meglio il «semipresidenzialismo» è un modo per affrontare in modo democratico questo dato di fatto. Per dare compimento alla opzione repubblicana e democratica della Costituzione.    

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