Le resistenze (interessate) sulla Costituzione (da europaquotidiano.it 31 luglio 2013)

http://www.europaquotidiano.it/2013/07/31/quelle-resistenze-interessate-sulla-costituzione/ di Giorgio Armillei Come sappiamo il cammino delle riforme costituzionali è pieno di ostacoli. In verità ostacoli tutt’altro che ideologici. Ostacoli confezionati da chi, in barba ai modelli costituzionali e alle costituzioni più belle del mondo, teme la messa in discussione delle sue rendite di posizione. Si tratti di gruppi di potere nei partiti, nell’economia, nella magistratura, nel sindacato, e così via. Scatenarsi dunque contro le riforme costituzionali, stracciandosi le vesti per un presunto oltraggio alla costituzione più bella del mondo, è molto spesso sospetto. Al netto di tutti coloro - e non sono pochi - che in buona fede restano convinti che il “parlamentarismo assoluto” della nostra storia repubblicana sia quanto di più vicino al modello ideale di democrazia rappresentativa, le resistenze alle riforme costituzionali sono fatte molto più di interessi che di passioni. Un esempio rivelatore di questo quadro ci è fornito in queste settimane dalla discussione sulla proposta di deroga all’art.138 della costituzione, quello che regola il procedimento di revisione costituzionale, presentata in parlamento dal governo in coerenza con una mozione parlamentare approvata dalla maggioranza. La proposta istituisce una commissione bicamerale per le riforme con il compito di predisporre una proposta per il parlamento, prevede tempi certi per la discussione e l’approvazione e, infine, impone un referendum finale. I punti chiave della proposta sono due: i tempi certi e il referendum finale. Riguardo ai primi si tratta di abbreviare, pur nel rispetto della doppia lettura da parte delle due camere, gli intervelli temporali tra una lettura e l’altra, stabilendo allo stesso tempo un termine finale del procedimento di revisione costituzionale. Una contrazione dunque dei tempi previsti dall’attuale 138, in un quadro comunque ultragarantista, in ragione del contesto di emergenza costituzionale nel quale ci troviamo. Contesto certificato da ultimo, in forme non irrilevanti dal punto di vista della costituzione materiale, da Napolitano nel suo discorso di insediamento. Riguardo al secondo si tratta di rendere possibile il ricorso al referendum confermativo anche nel caso in cui la revisione costituzionale sia approvata a larghissima maggioranza. L’elettorato avrà dunque la parola finale sull’intero processo, a differenza di quanto accade con l’attuale testo dell’art.138 che rende non attivabile la voce dell’elettorato quando i due terzi delle camere si sono espressi per la revisione. Quantomeno un pareggio, dunque, tra rimozione e allargamento dei vincoli alla revisione costituzionale. Senza contare infine che si tratta di deroga, limitata a questa revisione. L’attuale art.138 tornerà perfettamente funzionante alla conclusione di questa procedura di revisione. Parlare di proposta che non rispetta il nucleo incomprimibile dell’art.138 appare dunque assai discutibile. Ancor più inconsistente è l’accusa di metter mano ad uno sbrego costituzionale assai vicino a quelli teorizzati in anni passati dalle più sconcertanti trame dei cosiddetti poteri occulti, poteri che per altro aspiravano a forme proporzionalistiche di formazione post elettorale dei governi e non certo a forme di democrazia governante, maggioritaria e con formazione pre elettorale dei governi. Il punto che accomuna le due posizioni, si intenda ben diverse e diversamente meritevoli di discussione critica e di confronto, è uno: esaltare i presunti difetti costituzionali della procedura in deroga dell’art.138 per bloccare, nella sostanza, il disegno riformatore che buona parte – non tutti per la verità – dei proponenti la riforma procedurale sta mettendo a punto. Il gioco della doppia argomentazione, colpire il 138 in deroga per colpire la revisione della costituzione in sé, emerge con chiarezza, ad esempio, in un recente articolo di Massimo Villone che comincia con un paragrafo dedicato al processo di revisione per poi affidare l’affondo finale ad un secondo paragrafo sulla “riforma che si prefigura”. D’altra parte uno dei più prestigiosi leader del conservatorismo costituzionale italiano, Valerio Onida, per il quale quello delle riforme costituzionali non è che un mito retorico,  si era già premunito in sede di “piccola” commissione dei saggi di Napolitano innalzando le dovute barricate contro la previsione di una deroga all’art.138 in nome non tanto di ragioni procedurali quanto del timore di riforme “di sistema”. Ancora una volta la questione non è la procedura di riforma ma la “riforma che si prefigura”. Il punto è dunque un altro. L’esperienza costituzionale comparata ci dice che in presenza di situazioni di stallo, quando cioè sui partiti e sui gruppi parlamentari l’ombra minacciosa dei micro poteri di veto è in grado di impedire riforme ma non di produrne, il procedimento di revisione costituzionale – per avere successo – è costretto a posizionare diversamente i suoi attori principali. Componendo un diverso equilibrio tra ruolo del Governo e ruolo del Parlamento; contingentando i tempi – pur mantenendo ferma la garanzia del pluralismo del dibattito parlamentare – a beneficio della capacità decisionale; rimettendo infine all’elettorato – dove è più difficile l’esercizio dei poteri di veto – la decisione finale. E l’iniziativa non può che essere nelle mani del Governo, tanto più in una situazione come quella attuale che vede la riforma costituzionale tra i pochi punti di equilibro dell’attuale indirizzo politico. Meglio dunque per tutti spostare l’attenzione sulle cose da fare piuttosto che usare lo schermo delle procedure per difendere una tra le soluzioni o, peggio, per difendere gli equilibri attuali. Consapevolmente o inconsapevolmente si fa il gioco dei conservatori non certo quello della “sovranità popolare”.

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