L’89 e la globalizzazione: una chiave tripolare, di Luciano Iannnaccone

L’OTTANTANOVE E LA GLOBALIZZAZIONE: UNA CHIAVE TRIPOLARE     Movimenti storici epocali incomparabili per natura e caratteristiche, l’Ottantanove, che dalla Bastiglia a Valmy cambiò il mondo europeo, e la globalizzazione, cioè la forza economica, tecnologica e finanziaria che sta connettendo in modo inedito il mondo dei continenti e degli Stati, hanno in comune un elemento fondamentale: entrambi suscitano e muovono, a due secoli di distanza, dinamiche, risposte ed eventi che sembrano disporsi secondo uno schema tripolare, utile per capire ed agire  nel nostro presente. La rivoluzione francese esplode come energia di popolo, frutto imprevisto dell’età illuministica, che scardina l’ “Ancien Règime” ed appare a protagonisti della società europea  come “nuovo inizio”. Il sangue di Place Vendo^me, della Vandea e del Terrore è per molti orrore, per altri arra del mondo nuovo. La battaglia sulla punta delle baionette contro l’assolutismo europeo la condurrà Napoleone: contro il legittimismo, l’atipico assolutismo bonapartista promuove la modernità dei cittadini, dei nuovi istituti civili e del commercio contro le “medievali barriere”. A Waterloo l’assolutismo antico, qui guidato dal generale della nazione più moderna, prevale sul nuovo e diventa restaurazione e Santa Alleanza al congresso di Vienna. Ma le idee di libertà ed eguaglianza  germogliano nei nuovi ideali nazionali: contro la restaurazione muovono sia il nuovo liberalismo borghese che ogni conato di rivoluzione “di popolo”. Per questo la vita politica, economica e sociale dell’Ottocento europeo può essere utilmente schematizzata in chiave tripolare: a destra tradizionalismo e conservazione, espressione del legittimismo e della restaurazione. A sinistra la rivoluzione, l’emblema del secolo: dal retaggio dell’Ottantanove alla rivoluzione nazionale di popolo, mazziniana in Italia, al fantasma che nel 1848 si aggira per l’Europa: il comunismo. Al centro, ma un centro in movimento dove va a sacrificarsi politicamente per una giusta legge sui cereali il conservatore Robert Peel e dove Camillo Cavour costruisce il “connubio” nel parlamento subalpino fra il “centro destro” e il “centro sinistro”, vive la politica delle scelte liberali, che con le sue conquiste caratterizzerà il secolo e le sue aspirazioni. Quelle che lo stesso Cavour ha sintetizzato così: “Io reputo che non sarà l’ultimo titolo di gloria per l’Italia di aver saputo costituirsi a nazione senza sacrificare la libertà all’indipendenza, senza passare per le mani dittatoriali di un Cromwell; ma svincolandosi dall’assolutismo monarchico senza cadere nel dispotismo rivoluzionario”.     Questa chiave tripolare ci aiuta a capire anche il nostro presente, messo in movimento due secoli dopo l’Ottantanove dal vento della globalizzazione. Un vento che ha liberato dalla miseria molte centinaia di milioni di esseri umani, ma altri, anche se assai meno, ha messo in grave difficoltà nelle economie mature. E’ un presente dove saliti a regnare sono nuovi assolutismi: soprattutto gli automatismi ab-soluti delle dinamiche mondiali proprie al capitale finanziario e all’innovazione tecnologica, che irrompono dove trovano varco. Ma anche gli assolutismi politici di Stati e potenze non o poco democratiche ( grandi e medie) la cui strategia sta nel cercare di sommare ai vantaggi economici della globalizzazione un protagonismo internazionale ed un imperio  nazionale che dia sicurezza e protezione ai propri cittadini-sudditi, generando obbedienza. E’ il polo  articolato  dell’assolutismo odierno.     Le dinamiche finanziarie, economiche e tecnologiche provocano, in quello che si chiamava “mondo occidentale”, precarietà, paura, disagio in forma di reazione individuale: in Italia, ad esempio, cercano di coinvolgerla ed arruolarla con successo sia un “novismo” trasformista che cela sotto il simulacro della “democrazia diretta” un sostanziale dispotismo sia un movimento che coinvolge  in chiave di difesa territoriale ed economica. Il polo di un  populismo insieme dispotico e “vicino”. Che rapporto fra i nuovi assolutismi e questa reazione populista premiata dal consenso? Complesso, perché al rigetto (proclamato ma impotente) delle incessanti trasformazioni generate dagli automatismi finanziari globali si uniscono il fascino e l’attrattiva degli assolutismi politici di Stati che largiscono il senso di appartenenza in cambio di conformismo ed allineamento.   Ma c’è un terzo polo, quello della “società aperta” costruita dal protagonismo, in varie aree del mondo, della libertà civile, economica, sociale e dalle decisioni di merito della democrazia liberale. E’ un po’ in sofferenza, forse particolarmente in Italia, ma ancora vitale e soprattutto necessario. La “distruzione creatrice” del capitale finanziario, del mercato globale e della tecnologia digitale ha infatti bisogno della società liberale, del suo articolarsi e delle sue scelte politiche di merito se vuole diventare da potente opportunità un vero fattore di civiltà e progresso. Affinchè le strade della storia non riaprano a nuovi cicli di arroccamenti, inaccettabili diseguaglianze e odiosi dispotismi, sia che nascano da automatismi finanziari ingovernati o dall’implodere della cieca protesta, dall’incapacità di decidere ed agire o dalla violenza degli Stati. La società aperta postula una rinnovata scoperta della libertà come condizione originaria di ogni uomo nell’apertura agli altri, cioè all’alterità del presente, del passato e del futuro. Questo “polo liberale” deve riprendere piena coscienza della sua missione nel mondo. In Italia ed in Europa, ad esempio, le decisioni di merito della democrazia liberale devono aumentare di forza e di peso rispetto alle tecnostrutture amministrative e giudiziarie (di cui ha scritto Angelo Panebianco), la cui funzione assolutamente necessaria non deve esorbitare, impedendo o limitando la indispensabile azione politica di trasformazione positiva della società. Solo così sarà possibile un “nuovo inizio” dell’Europa.   Il problema decisivo per il fiorire della società aperta sta però nell’attuarsi nelle coscienze e nella prassi di quanto sopra postulato: la responsabità della libertà come condizione originaria di ognuno. Non va da sé, come ci dicono anche due importanti saggi apparsi recentemente: “Troppi diritti”, di Alessandro Barbano e “La democrazia del narcisismo” di Giovanni Orsina. La fuga dai doveri e un individualismo senza limiti portano alla riduzione della realtà a mera proiezione della propria soggettività, per cui l’unica “via politica” diventa “una coalizione dei frustrati”, come ha detto Orsina. La responsabilità sociale come speranza vissuta in due secoli di storia civile dalla borghesia liberale e dalla classe operaia europea appaiono e sono drammaticamente lontane. Ma non c’è altra strada se vogliamo un futuro umano per i nostri figli.   Questa lettura tripolare che cosa ci dice in merito all’attualità di “destra e sinistra”? Che il fondamentale discrimine oggi è tra la libertà “e i suoi nemici”. Siano questi essi gli automatismi finanziari o tecnologici, se privati del fattore umano e civile che ne fa indispensabili strumenti di progresso, ovvero quei regimi autoritari in cerca di amici sciocchi ovvero quei populismi elettoralmente attrattivi  che, guarda caso, hanno unito in Italia una destra e una sinistra. Ma questi ultimi, nel loro elettorato, non sono in realtà nemici: hanno bisogno della società aperta e la società aperta ha bisogno di loro. Per costruire una nuova alleanza che chieda ad ogni cittadino, compresi quelli sensibili ai populismi, di riscoprire la speranza accettando la responsabilità della libertà.     Luciano Iannaccone

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