da Europa di oggi

Come negoziare i principi non negoziabili

Un manuale di monsignor Giampaolo Crepaldi per i cattolici in politica
Monsignor Giampaolo Crepaldi, da tempo impegnato sulla dottrina sociale, ha scritto questo Manuale, destinato soprattutto ai politici, con una struttura agile e comprensibile: dopo la prefazione del cardinal Bagnasco che ne elogia l’originalità, un’introduzione generale, una indicazione dei criteri, una specificazione di alcuni contenuti, dei cenni conclusivi. L’introduzione mira a ribadire il valore pubblico del fatto religioso contro visioni rinunciatarie: un obiettivo largamente condivisibile anche se in realtà questo tipo di impostazione ha alle spalle una forte tradizione anche negli anni Settanta e Ottanta, su cui lo sguardo di Crepaldi sembra essere invece di un certo pessimismo retrospettivo. Indubbiamente la cesura della fine dell’unità politica dei cattolici ha rappresentato un momento di sbandamento, ma se per certi versi esso è stato superato si deve anche alla preparazione precedente. Rispetto ai criteri monsignor Crepaldi invita opportunamente a non selezionare a piacere la dottrina o a trattarla in modo astorico, a considerarla invece più correttamente come «un unico corpus, che contiene elementi permanenti ed altri che cambiano, che non va vivisezionata e adoperata a brandelli, che appartiene alla missione della Chiesa e quindi va intesa dentro un contesto ecclesiale, ma che non per questo perde anche la sua capacità di dare indicazioni politiche, che essa ha prodotto e produce cultura politica anche se non scende direttamente nel dibattito politico delle cose da fare». Viene poi avanzata la preoccupazione che lo schema classico vedere-giudicare-agire dei movimenti di azione cattolica costruisca un “vedere” neutro, che non incorpori sin dall’inizio le ragioni di un giudizio critico, per il cui il successivo “giudicare” sarebbe poi indebolito e produrrebbe un agire debole. In realtà, al di là del fatto che qualsiasi schema sintetico ha dei pro e dei contro e rischia di essere curvato in modo sbagliato, quello schema reagiva a un’impostazione astorica e deduttiva della dottrina (quella stessa a cui vuole sfuggire l’autore). Anche se non riusciva a farlo bene, considerando che finiva col trascurare la natura sempre precaria e storicamente limitata del giudizio pratico. Significativa la parte sulla libertà religiosa in cui si ricorda che nei nostri ordinamenti si tratta certo di un diritto fondamentale soggetto però ad alcuni limiti: quelli che il Concilio Vaticano II indica nella nozione di “ordine pubblico”, che conducono ad esempio alla non accettabilità della poligamia. Delicata è poi la questione del giudizio politico sulle coerenze personali e sulle impostazioni dei partiti. è ragionevole sostenere che spostare l’accento su valutazioni pubbliche della coerenza dei singoli può portare a un approccio moralistico e inefficace. Il giudizio politico deve primariamente vertere sulla coerenza della politica perseguita senza trascurare la rilevanza implicita dei comportamenti privati anche per la valutazione della credibilità politica. Certo, le modalità di esprimere questa distinzione devono essere tali da non far sembrare che il richiamo alla coerenza personale sia un optional e debbono sfociare su una verifica effettiva dell’impatto delle dichiarazioni. Rispetto ai contenuti le pagine più interessanti paiono essere quelle sul ruolo dello Stato che, nonostante la crisi, non viene visto come una panacea nel suo ruolo di gestore diretto, se ne valuta positivamente soprattutto il ruolo di regolatore, di una realtà che «crea la cornice giuridica, fa da garante, coordina» più che erogare direttamente. Analoga visione aggiornata delle grandi finalità solidali è proposta per il mercato del lavoro e per il ruolo dei sindacato che dovrebbero essere tra i primi a contribuire «a spostare la loro attenzione dai già garantiti ai non garantiti (...) sacrificando anche modalità e comportamenti consolidati per andare incontro alle nuove necessità» con la «continua invenzione di nuove configurazioni giuridiche». Idem per le delocalizzazioni, che non si tratta di condannare moralisticamente, ma di prevenire con «politiche industriali e del mercato del lavoro che le disincentivino». Ovviamente il politico cattolico che dovesse viceversa scrivere un manuale ai vescovi farebbe presenti altre due problematiche. Il primo è che il problema della necessaria anche se paradossale negoziazione dei principi non negoziabili (visto che la politica è negoziazione) non deriva dall’intento di sfuggire ai princìpi o di adeguarsi ai principi di altri, ma dal fatto che in ogni decisione di norma vengono in gioco più principi e lo sforzo per armonizzarli dentro soluzioni accettabili e creative anche se imperfette va perseguito sino in fondo, la strada dell’obiezione è invece l’ extrema ratio . L’esigenza della «continua invenzione di nuove configurazioni giuridiche» proposta per il mercato del lavoro perché lì bisogna conciliare le esigenze di flessibilità dell’impresa con quelle di sicurezza dei lavoratori si pone ad esempio anche per i diritti e i doveri delle persone omosessuali su cui esistono dei vuoti giuridici e che non si possono inquadrare in un rigido schema tra irrilevanza ed equiparazione al matrimonio. Senza dimenticare poi che il bilanciamento tra diversi principi è il cuore dell’esperienza giuridica, ben oltre le negoziazioni tipiche dei procedimenti parlamentari di produzione legislativa. Il secondo è nell’indicazione di priorità in questa fase italiana: al di là di criteri e contenuti mi sembra che il miglior servizio che la Chiesa italiana possa rendere e che sta già rendendo con la Settimana sociale sia quella di aprirsi ai contributi dei cattolici che cercano di realizzare una pratica cristiana della politica non perché riunendoli debbano arrivare alle medesime scelte, ma perché in tal modo la Chiesa riduce il tasso di incomunicabilità del nostro bipolarismo. Questo si sta già facendo, ma non c’è forse ancora una teoria che lo spieghi bene e che ne allarghi il rilievo.

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