C'è qualcosa che non torna...(e un augurio).

Solo qualche  spunto sulle ultime discussioni . Nulla da dire sulla lunga perorazione di Pietro Giordano e non solo – circa i termini generali di una moderna cultura delle relazioni sindacali e di lavoro storicamente ascrivibile alle scelte della Cisl: autonomia, centralità della contrattazione, partecipazione,  bilateralità ecc. (che “dovrebbero cominciare a guidare anche il PD”). Magari, e proprio in tale direzione avrei valorizzato qualche non piccola differenza  fra le numerose esperienze di accordi tripartiti in materia: perché non è che si possano del tutto assimilare ad un unico modello il lodo Scotti-Tarantelli 1982 che portò all’abolizione del punto unico di scala mobile confermato dal Craxi di San Valentino ’84, con quelli di Amato ’92, Ciampi-Giugni ’93 e patto di Natale D’Alema ’98, sino ai più recenti, e taciuti, patti per l’Italia Berlusconi-D’Amato-Pezzotta 2002, e nuovo modello contrattuale Sacconi-Marcegaglia-Bonanni 2009 (dopo l’intermezzo immobilista Montezemolo-Epifani e la controriforma delle pensioni Prodi-Damiano 2007). Perché il punto sta proprio qui, nell’alternanza/alternativa fra scambio neocorporativo fra bassi salari e bassa produttività in un contesto di rigido controllo sociale sull’organizzazione del lavoro, e coraggiose rotture “in avanti” di quel modello mediante la condivisione fra le parti di nuovi percorsi di flessibilità, investimenti e crescita “con chi ci sta”. Ora, che Orfini “sarebbe lieto se nel Pd gli eredi della tradizione cattolico-democratica battano un colpo” su queste questioni, in realtà non meraviglia affatto,  la cultura neocontrattualista della Cisl venendo di fatto tradita, a dispetto delle origini (Romani e Pastore), proprio dalla successiva torsione, in larga parte contigua alle suggestioni ideologiche di certa sinistra, imposta a quella tradizione dalla componente che dell'etichetta “cattolico-democratica” si è particolarmente fregiata, a torto o a ragione, e con maggiore accentuazione dalla nascita dell'Ulivo. Ed alla quale non a caso si rivolge oggi Orfini: i più intransigenti guardiani ed oppositori – in nome dell’idolatria statalista e del patriottismo costituzionale – di qualsivoglia approccio pragmatico e riformista in campo istituzionale e sociale e persino rispetto ai timidi tentativi di evoluzione della componente post-comunista sia pure alquanto affetta dal solito tatticismo (si risalga con la memoria al coraggioso programma di D’Alema al congresso Pds del 1997 - ed alle reazioni della Cgil - non a caso immediatamente abortito  nel pletorico, e inutile, Patto di Natale dell’anno dopo). E’ peraltro comprensibile - su queste pagine –- che si continui tartufescamente a tacere, nei volenterosi e interessanti dibattiti degli ultimi giorni,  ciò che è palese a qualsivoglia osservatore non fazioso, e che si riassume nella domanda:  è vero o no che i termini generali di quella moderna cultura riformista e delle relazioni sindacali richiamati hanno trovato, volenti o nolenti, e pur tra mille contraddizioni, le più solide sponde e sostegni per lo più nei governi "moderati" e di centrodestra, rispetto a quelli di centrosinistra??? (ostaggi non della Fiom, oggi comodo bersaglio, ma piuttosto  della CGIL tutta intera)??? Il problema, forse insolubile, sta proprio in questo spiazzamento, subìto finora dalle componenti più aperte e coraggiose che si ascrivono all’ala “liberal” del PD - e in essa dei nuovi “demo-devoti”, poliarchici reduci da Reggio Calabria - ahimè destinate a rimanere del tutto minoritarie in quel campo, e non esenti esse stesse da qualche contraddizione nel campo delle politiche sociali medesime, per non dire del tema dei rapporti con l’ordinamento giudiziario e in esso del ruolo esercitato dalla magistratura politicizzata (e proprio in tema di lavoro…). A meno di non uscire finalmente allo scoperto, e correre in salita, con ben altro però da appelli, articoli e iniziative frondaiole e cripto-movimentiste, che non salvano l’anima se restano politicamente improduttive. Ed a costo di scomposizioni e nuove “ricomposizioni”, magari rischiose dal punto di vista di certo dogmatismo politologico, ma catalizzatrici di nuovi e inediti scenari. E’ l’augurio per il 2011.

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