Bindi, Fassina e le ricette della sinistra

Con quali ricette la sinistra italiana risponde alla crisi? Essenzialmente tre: quella della rivincita statalista, quella del rimbalzo socialdemocratico e quella del liberalismo non ideologico. Dal punto di vista del rendimento sul “mercato elettorale” le differenze tra queste ricette sono ad oggi nette: le prime due falliscono, la terza è l’unica ad aver mostrato capacità di successo. Nella prima risposta la sovrapposizione è totale: la sinistra si identifica con l’espansione dello stato. E’ il welfare statalistico della tradizione continentale. Con la seconda la sovrapposizione si sposta dagli strumenti ai fini. La sinistra si identifica non con lo stato ma con lo stato che gestisce la redistribuzione delle risorse secondo “curve di preferenza” fondate sul consenso elettorale. E’ la sinistra dello stato assistenziale “all’italiana”. La terza si identifica con la ricerca delle condizioni della vera libertà. Il bene comune non è il fine della politica ma della società e la politica produce soltanto alcuni dei “beni comuni” che la società consuma. La rivincita statalista e il rimbalzo socialdemocratico finiscono con il distorcere la lettura della doppia crisi finanziaria. Un esempio: il modo con cui Fassina e tutta un’area del PD leggono il libro di Rajan sulla crisi. Una delle tesi del libro è che non il primato dell’economia ma l’ingerenza della politica nelle funzioni di regolazione, che non sono politiche ma quasi giurisdizionali, sia alla base del ciclone. Non poca politica ma troppa politica. Non troppo mercato ma poco mercato. Un disegno ricostruttivo che non piace ai cultori del primato della politica che si gettano, a caccia di rivincite, sulle pagine in cui Rajan ricorda come l’incremento delle diseguaglianze sia un pericolo strutturale del processo di globalizzazione. Ma il declino dello stato non permette rivincite. Ed è Giovanni Paolo II a dire che il libero mercato è lo strumento più efficace non solo per allocare le risorse ma anche per rispondere ai bisogni. Poi, certo, anche il mercato ha i suoi fallimenti, per altro insieme a quelli dell’intervento dei governi. Regolare questi fallimenti è il compito della sinistra non ideologica. Perché dietro questi fallimenti si nascondono rendite e privilegi. La rivincita statalistica e il rimbalzo socialdemocratico non fanno fatica a mettere in piedi una visione unilaterale anche del pensiero di Benedetto XVI. Suscitando il loro entusiasmo, il Pontificio consiglio per la giustizia e la pace parla di un’autorità pubblica a competenza universale per mettere ordine nel sistema finanziario internazionale. Ratzinger parla invece di governance globale di tipo poliarchico allo scopo di difendere la libertà, uno degli obiettivi della sinistra non ideologica, e di produrre risultati efficaci. E non ha dubbi nel ribadire il ruolo limitato e circoscritto della politica, parlando di politica che serve non a instaurare la giustizia nella società ma a contenere l’ingiustizia. Diversamente da quella parte di sinistra cattolica che continua a sostenere la ripresa di un’idea dello stato come strumento di riforma della società. Il riferimento è, ad esempio, a Rosy Bindi e a tutta l’area politica dossettiana. Cifra riassuntiva di questa doppia linea della sinistra è la lettura, ancora una volta distorta, del stagione blairiana e clintoniana. Non poche analisi empiriche hanno dimostrato che durante quelle formule di governo è cresciuta la libertà e il processo di allargamento delle diseguaglianze è rallentato rispetto ai trend maturati durante i governi conservatori. Senza dimenticare l’enormità dell’uscita di centinaia di milioni di persone dalla soglia della povertà. La verità è che vecchia sinistra, statalista e socialdemocratica, e vecchia destra si toccano. E il punto di contatto è proprio quello del rapporto tra la società e lo stato, ovvero il confronto tra state society e stateless society. Per le prime lo stato è la risposta. Lo stato nazionale, gli stati uniti d’europa, l’autorità globale. Un piano inclinato irrealistico. Per le seconde la politica è un pezzo di società accanto ad altri, con una sua funzione specializzata e suoi precisi confini. E non c’è nulla di anomalo nel fatto che economia, cultura, religione la condizionino e - per certi aspetti - la regolino.

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