Per un governo politico
Napolitano è stato mantenuto capo dello stato. Cominciamo dagli aspetti positivi del processo che ha portato a questo esito. Una prassi presidenzialista si sta decisamente imponendo. Sia gli sconfitti che i vincitori non hanno saputo porre la questione del capo dello stato se non collegandola a quella del governo. Più presidenzialismo di così! L’ultimo a rassegnarsi a questa regola è stato il Pd di Bersani. Le conseguenze esplosive di questo ritardo sono sotto gli occhi di tutti. In forma di macerie. Il bipolarismo, già largamente prevalente sul fronte della domanda politica, si consolida anche sul lato della offerta politica. (Altro che “tripolarismo”.) Il gruppo parlamentare M5S si comporta, e prima ancora “si pensa”, come tutti i gruppi parlamentari collocatisi alla estrema sinistra dalla fine degli anni ’60 ad oggi. Più bipolarismo di così! I presidenti delle giunte regionali, Maroni in testa, i cosiddetti “governatori”, hanno giocato un ruolo decisivo nel convincere Napolitano a restare, un ruolo che i loro predecessori non avrebbero neppure immaginato. Più federalismo di così! (Come diceva Ruini – citazione solo apparentemente eccentrica –, e come diceva il documento della Settimana Sociale dei Cattolici Italiani del 2010, in Italia presidenzialismo, bipolarismo e federalismo si fanno solo insieme. E se non si fanno – come avviene dal 1976, per non dire dal 1953 – non si va avanti!) Tuttavia, come è evidente, dietro la prorogatio di Napolitano ci sono più problemi che successi, e problemi drammatici. In Italia la crisi economica è forte quanto ormai tutti sappiamo, ma la crisi politica è ancora più acuta. In breve: per non perdere qualità civile, la società italiana ha disperato bisogno di istituzioni politiche diverse da quelle che le aveva dato la seconda parte della Costituzione. Ha bisogno di risposte coerenti alle domande di più presidenzialismo, più contendibilità e più competizione dei poteri politici, più autonomia politica e dunque anche fiscale di città e regioni. (E di altro ancora: a cominciare della divisione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri.) In breve: l’Italia ha bisogno di una risposta positiva alla domanda di riforme politiche che istituzionalizzino una democrazia più avanzata di quella della “prima repubblica”. In breve: l’Italia ha bisogno di riformismo. Non solo Cancellieri, Marini e Prodi, ma neppure Rodotà e Napolitano hanno gareggiato come leader di coalizioni riformiste. Il coriaceo e pesante conservatorismo di S. Rodotà (proporzionalista, statalista, integrista laico, ecc.) è agli atti non solo di una cospicua e degnissima carriera scientifica, ma anche a quelli di una non breve e sicuramente coerente carriera politica. (Tanto per ricordarne una, si oppose duramente alle ipotesi riformiste Ruffilli-Pasquino nella commissione parlamentare Bozzi degli anni ’80). Del resto, qualsiasi studente di storia politica sa bene che il giacobinismo e l’azionismo di cui Rodotà è testimone qualificato sono dei cripto-conservatorismi. Il dramma è che la sinistra che non ha fatto i conti con l’eredità della doppiezza togliattiana ne subisce il fascino. Così fu persino nel Lingotto veltroniano, figuriamoci nel Pd bersaniano. Lo stesso “migliorista” Napolitano non è mai stato riformista in ambito istituzionale. Il presidenzialismo è giunto persino in parte a praticarlo, ma si è sempre opposto ad una sua istituzionalizzazione. Una lotta antiriformista, la sua, che negli ultimi due anni (dalla invenzione di Monti all’espediente per prender/perder tempo con i saggi) ha raggiunto una intensità senza precedenti. Insomma: i processi ed i comportamenti politici evolvono nella giusta direzione (presidenzialismo, bipolarismo, federalismo), ma gli attori politici cercano di frenarli non costruendo per loro istituzioni e meccanismi di responsabilità adeguati. Di qui nascono la crisi, la latitanza socialmente ed economicamente costosissima della politica ed i gravi rischi della democrazia. Che poi, in queste condizioni, la vittoria di Napolitano su Rodotà sia stato il risultato migliore di quelli che si sono via via prefigurati, è piuttosto evidente. Poteva andarci molto, molto peggio. E ora? Nessuno può dire cosa succederà. Semmai si può dire, restando nei limiti delle possibilità reali, da cosa si potrà capire se la prorogatio di Napolitano porterà qualche frutto utile. Un segno di positiva inversione di tendenza potrebbe essere non la riedizione di un governo à la Monti (oggi à la Amato), ma il varo di un vero governo politico: con dentro Pdl-Lega e Pd. Il Pd dovrà pagare dei costi alti: dovrà rompere con la sua parte conservatrice. (Se il Pd separa anche solo temporalmente la scelta di una nuova leadership e quella della propria presenza al governo, ripete il suicidio a distanza di meno di sette giorni. Se Renzi, i “giovani turchi”, Barca o qualsiasi altro pretendente alla successione di Bersani si riserva per il “dopo”, semplicemnte si dimistra non all’altezza. Il Pd ha bisogno di un capo-partito identico al capo-delegazione di governo, e lo deve trovare entro sette giorni: in questo caso le procedure valgono meno del risultato. La stessa carta Amato per il Pd è un alibi controproducente.) Ma non meno alti saranno i costi che dovrà pagare il Pdl. Non potrà mandare al governo né Berlusconi né una sua controfigura. Ed alla nuova Lega di Maroni potrebbero costare meno quattro espulsioni simboliche che fare vero riformismo. Il nuovo governo politico funzionerà se, da Pd e da Pdl, entrerà al governo chi saprà anche prendere in mano i rispettivi partiti, e viceversa: l’unico che può dare futuro a quei partiti è chi si farà carico di questo governo politico oggi. Costi quello che costi. Se un governo politico ci sarà esso sarà anche il perimetro del fututo bipolarismo utile. La scommessa delle élite riformiste, che in genere in democrazia riesce, ha sempre la stessa forma, a destra come a sinistra: eliminare le ali non riformiste dei due gruppi dirigenti, e senza pietà, certi che ciò non farà perdere voti, ma guadagnarne. La risposta alla legittima protesta sociale non sono eletti protestatari, ma governanti efficacemente riformisti. La questione cruciale è una: quello che nascerà sarà un governo politico di orientamento riformista? Il costo della prorogatio di Napolitano avrà avuto un senso? La risposta sarà positiva a due condizioni: che ci siano dentro i leader moderati dei due schieramenti e che il primo punto del programma di governo sia un pacchetto coerente di riforme istituzionali pro-bipolarismo (doppio turno alla francese), pro-semipresidenzialismo (sempre alla francese) e pro-federalismo. La credebilità dei duri provvedimenti che il governo dovrà assumere in materia sociale ed economica dipende da quelle due condizioni. Sarebbe già tanto che Napolitano non ostacolasse questo processo, come invece ha fatto con la soluzione Monti o con l’espediente dei “saggi”. Ma se i riformisti di Pd e di Pdl-Lega non usciranno allo scoperto, la colpa non sarà di Napolitano.
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