Il ritratto di Mattarella e la ricostruzione del cattolicesimo democratico secondo padre Francesco Occhetta
FOCUS 354 IL XII PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, SERGIO MATTARELLA Francesco Occhetta S.I. © La Civiltà Cattolica 2015 I 354-364 | 3952 (21 febbraio 2015) Sabato 31 gennaio 2015 il Parlamento ha eletto Sergio Mattarella Presidente della Repubblica al quarto scrutinio, con 665 voti1. La sua candidatura, proposta dal Partito Democratico (Pd), è stata sostenuta anche da Sel, Scelta Civica, Ncd e da gruppi minori. Forza Italia, invece, ha ufficialmente scelto di votare scheda bianca, ma è realistico ritenere che circa 50 grandi elettori della principale forza di opposizione abbiano votato Sergio Mattarella. Le tensioni politiche della vigilia, che facevano temere una situazione di stallo simile all’elezione presidenziale del 2013, sono state improvvisamente ricomposte da Matteo Renzi con una mossa politica paragonabile a uno «scacco al re» . Il 29 gennaio, davanti ai 460 grandi elettori del Pd riuniti in assemblea, il segretario del Pd ha annunciato in diretta streaming: «La proposta che vogliamo formularvi è quella di Sergio Mattarella». Ma è la condizione che ha aggiunto — «non ci sarà nessun altro candidato Pd» — ad aver ridisegnato lo scacchiere politico su cui si è ricompattato il Pd, riallineato il gruppo di area popolare (Ncd-Udc) e diviso Fi. Nessuna concessione politica, per non ripetere l’errore della terna (Amato, Marini e Mattarella) proposta da Bersani a Berlusconi nel 2013, ma un solo candidato che, secondo Renzi, non appartiene «a un solo partito». 1. L’esito dello scrutinio, in cui hanno votato 995 elettori, è il seguente: Sergio Mattarella (665), Ferdinando Imposimato (127), Vittorio Feltri (46), Stefano Rodotà (17), Emma Bonino (2), Antonio Martino (2), Giorgio Napolitano (2), Romano Prodi (2), voti dispersi (14), schede bianche (105), schede nulle (13). Sergio Mattarella è l’unico capo dello Stato a essere stato Giudice costituzionale, e il quarto Presidente a essere eletto al quarto scrutinio dopo Luigi Einaudi, Giovanni Gronchi e Giorgio Napolitano nel 2006. 355 SERGIO MATTARELLA, XII PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Ecco le ragioni della candidatura secondo il Premier: «Sergio Mattarella è un uomo della legalità, della battaglia contro le mafia e le mafie, della politica con la “P” maiuscola. Sergio Mattarella è un uomo della Democrazia Cristiana che ha avuto il coraggio di dimettersi. Ci sono momenti in cui uno può dire alla propria coscienza che un ideale vale di più di una poltrona». Il segretario del Pd ha inoltre sottolineato che «Mattarella è un difensore della Costituzione, [e] il padre della legge elettorale. La sua legge elettorale […] impone al politico di metterci la faccia». Ha poi concluso il suo breve e autorevole intervento, evidenziando il profilo internazionale del candidato al Quirinale: «Il Governo di cui Mattarella fece parte come ministro della Difesa visse momenti difficili nella politica estera, con momenti delicati nei Balcani; gestimmo le missioni internazionali vicino a casa, ma si abolì anche il servizio militare. è un tema importante perché una delle caratteristiche richieste a un Capo dello Stato è il profilo internazionale, la condivisione con gli alleati delle scelte di fondo». La cultura politica del presidente Mattarella Il significato politico del consenso riposto dalla classe politica su Sergio Mattarella ha una valenza polisemica. Anzitutto, il Parlamento ha scelto di mettere al centro dell’Ordinamento un uomo politico di alto profilo istituzionale. Sono alcuni dati biografici ad attestarlo: nato a Palermo il 23 luglio 1941, Sergio Mattarella entra in politica nel 1983, dopo aver lasciato la cattedra di Diritto parlamentare, e rimane deputato fino al 2008, prima nelle file della Democrazia Cristiana e poi del Partito Popolare Italiano, poi con la Margherita e il Partito Democratico. A livello istituzionale, ricopre gli incarichi di ministro per i Rapporti con il Parlamento (1987-89), della Pubblica Istruzione (1989-90), vicepresidente del Consiglio (1998-99), ministro della Difesa (1999-2001) e infine Giudice costituzionale (2011-15). Nell’era delle immagini e dei gesti, il presidente Mattarella ha mandato in tilt una parte della stampa. Egli infatti non comunica con slogan e non usa i social network; l’espressione del suo volto e il modo di camminare, inoltre, non fanno notizia; per capirlo, bisoFOCUS 356 gna leggerlo o ascoltarlo con attenzione, perché «il suo stile sobrio, la semplicità, l’assenza di gestualità ne fanno una sorta di presidente “radiofonico”, più che televisivo. Non un brillante arringatore di folle, ma un uomo riflessivo, lievemente autoironico, che tende a mangiarsi le parole, eppure le sa scegliere con parsimoniosa precisione. Non sa comunicare, si dice. Ottimo: di grandi comunicatori l’Italia ne ha anche troppi»2. Infatti, quando buona parte della stampa, abituata a narrare la politica-spettacolo degli scandali o delle risse nei talk show, ha dovuto raccontare Sergio Mattarella, non ha trovato interviste, foto compromettenti, voci di corridoio su cui sospettare; per il mondo giornalistico la notizia è stata più subita come un boomerang che gestita. Per quale motivo? Per il suo aver archiviato il linguaggio di una cultura politica che pone al centro il logos pacato e razionale dell’argomentare politico. Ma c’è di più. Con il presidente Mattarella riprende ad ardere la cultura del cattolicesimo democratico, che sembrava essersi spenta con l’inizio di quella che convenzionalmente è stata definita «la terza Repubblica». Questa «tradizione vivente» può essere compresa con tre parole chiave — garanzie, mediazione, laicità — e con una «esperienza originante», quella della I sottocommissione alla Costituente, formata da politici come Dossetti, La Pira e Moro. Per il cattolicesimo democratico, di cui Mattarella è testimone ed erede, la Costituzione è un progetto da realizzare. Nella storia del dopoguerra, i cattolici democratici, definiti anche «i figli maturi del Concilio Vaticano II», sono stati fra i più coerenti interpreti di una visione costituzionale che ricomponeva politicamente gli obiettivi delle rivoluzioni liberali e democratiche della fine del Settecento con quelli del movimento dei lavoratori sviluppatosi nell’Ottocento fino alla prima metà del Novecento. è da questo filone politico che nasce la struttura dei diritti civili, politici e sociali, il pluralismo e l’organizzazione dei poteri fondata su un’idea di democrazia partecipativa, intesa come strumento di una società autonoma e attiva. Non è un caso che Mattarella — in- 2. M. Franco, «Tanti applausi, tutti sinceri?», in Corriere della Sera, 4 febbraio 2015, 31. 357 SERGIO MATTARELLA, XII PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA sieme ad Aldo Moro (suo maestro), Benigno Zaccagnini, Leopoldo Elia, Pietro Scoppola, Beniamino Andreatta, i tre fratelli Prodi, Piero Bassetti, Roberto Ruffilli, Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Guido Bodrato, Pierluigi Castagnetti — abbia sempre avuto a cuore che l’articolazione dei poteri legislativo ed esecutivo fosse controbilanciata dagli organi di garanzia, come la Corte Costituzionale e i poteri affidati al Presidente della Repubblica, in modo che fossero finalizzati alla «crescita umana integrale» della società. Ci limitiamo a citare un solo esempio: nella Commissione bicamerale presieduta da D’Alema (1997-98), Mattarella propose un emendamento approvato quasi all’unanimità, per riordinare e semplificare il corpo delle leggi che Leopoldo Elia ha definito «un nuovo Digesto», dopo quello di Giustiniano. Insomma, basterebbe scorrere gli scritti di Mattarella, anche i più tecnici, per notare come la democrazia sia intesa come bene fragile da custodire e luogo di ricomposizione degli interessi3. è l’arte della mediazione che caratterizza l’appartenenza al cattolicesimo democratico. Non deve stupire quindi se in politica Mattarella ha svolto più una funzione di lievito che di massa. Questa presenza, «culturalmente rilevante, anche se numericamente esigua», è stata quella che, più di ogni altra, ha pagato la coerenza delle scelte compiute, con il sacrificio della vita di alcuni suoi componenti: prima Aldo Moro nel 1978, poi, nel 1980, Vittorio Bachelet e Piersanti Mattarella. Nell’unico testo in rete, pubblicato sul sito del Movimento Studenti di Azione Cattolica (Msac), Sergio Mattarella ricorda il fratello: «La mattina dell’Epifania del 1980 veniva assassinato Piersanti Mattarella. Era in auto, sotto la sua abitazione, con la moglie e i due figli: stava andando a Messa nella chiesa di S. Lucia. Non aveva ancora quarantacinque anni. Da quasi due anni era presidente della Regione in Sicilia. La sua azione politica e di governo era stata caratterizzata da un’intensa attività di riforme legislative […] e da un 3. Ci limitiamo a citare due fonti di Sergio Mattarella che anticipano di molti anni il dibattito in corso sulle riforme: S. Mattarella, «Il bicameralismo», in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 4/1983, 1162; Id., «Gli anni Ottanta» in F. Lanchester (ed.), Regolamenti parlamentari e forme di governo: gli ultimi quarant’anni, Milano, Giuffrè, 2013. FOCUS 358 forte impegno per lo sviluppo della sua regione e del Mezzogiorno. Ma l’elemento che di più lo contraddistingueva era quello per la correttezza nella vita della Regione, che esortava continuamente ad avere “le carte in regola” […]. Piersanti non aveva la vocazione a diventare un eroe. Era una persona normale […]. Avvertiva fortemente il senso della dignità propria e di quella del ruolo che rivestiva; si rifiutava di piegarsi alla prepotenza, alla sopraffazione della mafia o alla minaccia della violenza; non aveva intenzione di far finta di non vedere. Era consapevole del pericolo che poteva aver di fronte, ma sapeva che si deve vivere in maniera decorosa, potendo essere sempre orgogliosi delle proprie scelte […]. Il messaggio che riceviamo da Piersanti Mattarella risiede nella convinzione che la vita va impiegata spendendo bene, evangelicamente, i talenti che si sono ricevuti»4. è dal dolore e dalla responsabilità che nasce l’impegno politico di Sergio Mattarella. Il padre Bernardo aveva partecipato ai lavori della Costituente, aveva ricoperto la carica di ministro e sottosegretario e aveva partecipato all’ascesa della Dc5. Ma quando il figlio Sergio entra in politica nel 1983, è chiamato a gestire la fase discendente della Dc. In ogni cambiamento egli è stato guidato da quella «cultura politica fortissima che è moderazione, equilibrio, dialogo con l’avversario, senso delle istituzioni e dello Stato. In una parola: mediazione. Parola-chiave […] che si trasforma in immobilismo e infine palude quando il sistema è ormai paralizzato e non c’è più nulla da mediare. […]. Mattarella non fa eccezione»6. Tuttavia, come precisa Umberto Gentiloni, Mattarella «rifiuta la logica del o di qua o di là, in linea con il Ppi di Mino Martinazzoli. L’operazione dell’Ulivo di Romano Prodi supera questa posizione: 4. http://movi100.azionecattolica.it/?p=161/ Si veda anche l’intervista degli studenti di Azione Cattolica a Sergio Mattarella http://movi100.azionecattolica. it/?p=435/ Cfr anche l’intervista ad Antonio Spadaro di Antonietta Calabrò, «Un Presidente dalla fede non muscolare. Per lui la politica deve essere costruzione», in Corriere della Sera, 2 febbraio 2015. 5. Cfr U. Gentiloni, «Le radici politiche del Presidente», in La Stampa, 3 febbraio 2015, 25. 6. M. Damilano, «Sergio Mattarella Presidente della Repubblica. Quell’uomo invisibile della Dc. Ma non incolore», in l’Espresso, 31 gennaio 2015. 359 SERGIO MATTARELLA, XII PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA l’accettazione del bipolarismo, la nascita di un centro-sinistra in cui i cattolici siano fermento»7. è la dimensione spirituale della politica che ha portato Mattarella a vivere importanti cambiamenti attraverso un «cattolicesimo adulto, tormentato, inquieto, vicino alla sensibilità del cardinale Carlo Maria Martini, che egli incontra più volte, [perché uniti dalla] “spiritualità del conflitto”, come la chiama Scoppola»8. Di lui p. Bartolomeo Sorge sottolinea che «è stato l’anima della Primavera di Palermo, ma non è mai apparso come protagonista». Gli avversari lo hanno spesso definito «un cattocomunista», ma in realtà, ricorda il figlio di Beniamino Andreatta, «sui temi di fondo erano rigorosamente anticomunisti, ma nello stesso tempo ritenevano necessario coltivare il dialogo con l’altra parte. Ne è un esempio concreto il Mattarellum, legge elettorale che raccolse consensi trasversali, tenne unito il quadro politico e produsse alternanze»9. Rimane simbolica la coerenza di una scelta: la sera del 26 luglio 1990 Mattarella si dimette da ministro della Pubblica Istruzione insieme a Martinazzoli, Fracanzani, Misasi e Mannino, perché l’allora presidente Andreotti aveva posto la fiducia sulla legge Mammì, quella che sanava definitivamente le tre reti televisive di Silvio Berlusconi. Con tono pacato, sarà lui a spiegare al Paese quel gesto di rottura: «Riteniamo che porre la fiducia per violare una direttiva comunitaria sia, in linea di principio, inammissibile». L’elezione di Mattarella riapre indirettamente anche all’interno del mondo cattolico italiano quel dibattito sulla presenza e sul destino dei cattolici in politica, che non può esaurirsi sul «come» (partito unico o costruzione di un grande centro politico), ma sul «cosa» e 7. Colloquio di Marco Damilano con Umberto Gentiloni, «Non solo democristiano», in l’Espresso, 12 febbraio 2015, 34. Negli studi di Mattarella, il bipolarismo è la ricerca degli equilibri tra partiti e poteri per cui non ci sembra fondata la critica di «centrismo» proposta da Luca Diotallevi. Non appare fondata nemmeno l’altra critica del politologo, quella di «centralismo», in quanto con l’elezione di Mattarella c’è convergenza politica nel ritenere che le Regioni vadano responsabilizzate nel nuovo Senato più che rafforzate nei loro poteri legislativi. Il giudizio su come articolare le autonomie è sempre storico e concreto, mai ideologico. 8. M. Damilano, «Sergio Mattarella Presidente della Repubblica…», cit. 9. F. Alberti, intervista a Filippo Andreatta: «Quei due amici così diversi, Sergio e mio padre Beniamino, uniti da ironia e buona politica», in Corriere della Sera, 3 febbraio 2015, 7. FOCUS 360 «verso dove» i politici credenti possono fare insieme, per difendere la democrazia e costruire l’Europa dei popoli. Ad una condizione, però: la testimonianza di una laicità matura che non forza mai la ragionevolezza e la condivisibilità delle proprie conclusioni, in relazione a princìpi unilateralmente stabiliti come universali. Per la tradizione dei cattolici democratici, Pietro Scoppola, amico di Sergio Mattarella, sottolinea che «la laicità non riguarda solo gli Stati, le leggi, il modo di essere delle istituzioni: la laicità è prima di tutto un modo di vivere l’esperienza religiosa a livello personale e interiore; se manca questa condizione interiore, anche gli aspetti istituzionali della laicità ne risulteranno indeboliti e alla fine compromessi […]. Laico è colui per il quale le cose ci sono nella loro propria identità»10. Il giuramento e il discorso al Parlamento del Presidente Il mandato presidenziale è iniziato ufficialmente alle ore 10,00 del 3 febbraio 2015, quando il presidente Mattarella ha pronunciato davanti al Parlamento, riunito in seduta comune, le parole del giuramento previste dall’art. 91 della Costituzione: «Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare lealmente la Costituzione ». La capitale è stata per una mattinata avvolta da un protocollo cerimoniale, che ha i connotati di un rito: il suono delle campane di Montecitorio durante il tragitto compiuto dal Presidente dalla foresteria della Corte Costituzionale al Parlamento, l’aula gremita e solenne, addobbata con 21 bandiere ed enormi drappi rossi, i 21 colpi a salve sparati dal cannone del Gianicolo, il picchetto dei corazzieri, l’inno di Mameli, l’arrivo del nuovo Presidente al Quirinale a bordo della Lancia Flaminia scortato dai corazzieri a cavallo, il suono delle campane che lo ha accolto, le frecce tricolori, la cerimonia con le alte cariche dello Stato, il rito del passaggio di consegne con il Capo dello Stato supplente e dell’insegna di Cavaliere di Gran Croce…, insomma tutti momenti di alto valore simbolico. 10. P. Scoppola, Un cattolico a modo suo, Morcelliana, Brescia, 2008, 92. Cfr A. Goracci, Laicità dello Stato e primato della coscienza, Roma, Pontificia Università Lateranense, 2008. 361 SERGIO MATTARELLA, XII PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Dopo il giuramento, il presidente Mattarella ha pronunciato il suo denso discorso, scritto su 17 fogli di 20 righe ciascuno, che è durato 31 minuti. Lo stile scelto è stato quello parenetico ed esortativo, tipico di chi vuole parlare da garante, volutamente non programmatico, mentre l’uso dell’anafora, che enfatizza e ripete una stessa parola, è servito per lanciare frecce che evocavano temi di cui la politica deve prendersi cura. è la parola «speranza» a costituire il filo rosso del discorso. Dopo i ringraziamenti, il Presidente ha definito l’incipit del suo intervento: «Avverto pienamente la responsabilità del compito che mi è stato affidato. La responsabilità di rappresentare l’unità nazionale innanzitutto. L’unità che lega indissolubilmente i nostri territori, dal Nord al Mezzogiorno. Ma anche l’unità costituita dall’insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini. Questa unità rischia di essere difficile, fragile, lontana». Ai giovani parlamentari chiede di rappresentare «la capacità di critica, e persino di indignazione, la voglia di cambiare». Poi, per quattordici volte, precisa che cosa «significa» concretamente «garantire la Costituzione»: dal diritto allo studio al diritto al lavoro; dal promuovere la cultura dell’eccellenza ad amare i tesori ambientali e artistici; dal ripudio della guerra al garantire i diritti dei malati; dal pagare le tasse all’accorciare i tempi della giustizia; dal proteggere le donne dalle violenze al rimuovere le barriere per le persone con disabilità; dal sostenere la famiglia, «risorsa della società», al garantire l’autonomia e il pluralismo dell’informazione; dal ricordare la Resistenza al riconoscimento dei diritti «nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva». Infine «garantire la Costituzione significa affermare e diffondere un senso forte della legalità». Senza esitazione, il Presidente ha condannato la mafia (quella antica e quella nuova), la corruzione, la criminalità organizzata, esortando tutti a fare meglio e di più. La mafia è rappresentata come un cancro, una malattia pervasiva che si ramifica velenosamente «in aree geografiche storicamente immuni»: per sconfiggerla «occorre una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci, e una dirigenza politica e amministrativa capace di compiere il proprio dovere». FOCUS 362 Mattarella ricorda che la corruzione ha raggiunto un «livello inaccettabile» e divora risorse destinate ai cittadini, «impedisce la corretta esplicazione delle regole del mercato. Favorisce le consorterie e penalizza gli onesti e i capaci». è a questo proposito il riferimento a Papa Francesco, «che ha usato parole severe contro i corrotti: “Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini”». Per il Papa, infatti, l’origine della corruzione è di natura spirituale, non morale: risiede nella «stanchezza della trascendenza» e nella pretesa di autosufficienza; la corruzione sporca il cuore di chi la sceglie, offusca le coscienze, toglie la libertà, mortifica il desiderio di amare11. Per quanto riguarda la lotta alla mafia, Mattarella ricorda, «tra gli altri», i sacrifici di Falcone e di Borsellino. Il Presidente promette di essere un arbitro imparziale, ma aggiunge: «I giocatori mi aiutino». Poi allarga l’orizzonte e precisa: «La pratica della violenza in nome della religione sembrava un capitolo da tempo chiuso dalla storia. Va condannato e combattuto chi strumentalizza a fini di dominio il proprio credo, violando il diritto fondamentale alla libertà religiosa. Considerare la sfida terribile del terrorismo fondamentalista nell’ottica dello scontro tra religioni o tra civiltà sarebbe un grave errore». Il Presidente ricorda il piccolo Stefano Taché, ucciso a soli due anni nell’attentato del 1982, alla sinagoga di Roma. «Per minacce globali servono risposte globali […]. Un fenomeno così grave non si può combattere rinchiudendosi nel fortino degli Stati nazionali». Infine parla dell’Unione Europea, che definisce «nuova frontiera di speranza», con al centro il tema dell’immigrazione. Ringrazia le Forze armate che soccorrono l’esodo degli immigrati; rivolge il suo pensiero «ai due nostri fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone», perché possano ritornare presto in patria. Ricorda anche il gesuita p. Paolo Dall’Oglio, Giovanni Lo Porto e Ignazio Scaravilli, dei quali «non si hanno notizie in terre difficili e martoriate». Per ricostruire speranza e unità, Mattarella garantisce la sua vicinanza ai «volti» più fragili. Ne cita sette: quelli dei bambini, degli 11. Cfr F. Occhetta, «Il Papa, le Istituzioni, la corruzione», in Civ. Catt. 2014 III 158-167. 363 SERGIO MATTARELLA, XII PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA anziani, dei malati, dei giovani disoccupati, delle famiglie colpite dalla crisi economica, degli imprenditori che chiudono, dei volontari «che donano con generosità il proprio tempo agli altri». è pensando a loro che chiede una «mobilitazione di tutte le risorse della società italiana. Parlare di unità nazionale significa, allora, ridare al Paese un orizzonte di speranza». Tuttavia, perché questo valore si incarni, «occorre ricostruire quei legami che tengono insieme la società». Insomma, «storie di donne e di uomini, di piccoli e di anziani, con differenti convinzioni politiche, culturali e religiose. Questi volti e queste storie raccontano di un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale». La platea applaude il Presidente 42 volte; all’applauso finale partecipa anche Fi il cui leader, Silvio Berlusconi, era presente, secondo quanto stabilisce il copione del cerimoniale per gli ex-Presidenti del Consiglio. * * * Il palazzo del Quirinale, che nella sua storia è stato abitato da 30 Papi e quattro Re, con Mattarella sarà abitato dal dodicesimo Presidente della Repubblica, con l’auspicio che, attraverso la sua elezione, il Paese si appresti a vivere un tempo di «normalità costituzionale»12. Certo, non è tutto oro quello che luccica, soprattutto quando tutti sembrano applaudire. Alcuni politologi hanno già evidenziato che si è passati «dai moniti» dell’ex-presidente Napolitano «agli auspici» dell’attuale Presidente. Altri hanno addirittura definito il discorso «una litania». In realtà in pochi hanno riflettuto sulla forza dell’evocazione di parole come «volti», «comunità», «unità» e «speranza». Proprio quest’ultimo termine, nella cultura di Mattarella, ha un duplice significato. Da una parte, richiama una famosa frase di Aldo Moro, che la definiva come «la certezza delle cose future»; dall’altra, evoca il mito greco della dea Speranza — spes ultima dea —, che resta tra 12. F. Clementi, «Il tempo della normalità costituzionale», in Il Sole 24 Ore, 4 febbraio 2015, 7. Si veda anche S. Ceccanti, «Da Napolitano a Mattarella: la normalità obiettivo possibile», in www.federalismi.it FOCUS 364 gli uomini a consolarli, anche quando tutti gli altri dèi abbandonano la terra per l’Olimpo. Infine, il testimone che Mattarella riceve da Giorgio Napolitano è carico di due grandi eredità: la credibilità della figura del Presidente della Repubblica davanti alle cancellerie del mondo e le urgenti riforme costituzionali. Queste dipendono molto dalla volontà dei giocatori e dalla tenuta di un centro-destra che non riesce a offrire al Paese un’alternativa politica. Sulle velate critiche circa la bassa caratura internazionale, Pierluigi Castagnetti sottolinea che Mattarella è stato «ministro della Difesa nel governo D’Alema, in un momento molto particolare, quando in Serbia infuriava il conflitto etnico e la Nato intervenne in difesa dei musulmani del Kosovo. Mattarella partecipò a tutti i vertici europei e internazionali: fu molto ascoltato e stimato dagli alleati in quel frangente difficile. Ricordo che, caduto il governo D’Alema, il presidente della Repubblica Ciampi chiese pubblicamente ed esplicitamente a Giuliano Amato, nuovo presidente del Consiglio, di mantenere la continuità al ministero della Difesa, confermando Mattarella. Inoltre da vicepresidente del Consiglio Mattarella è stato membro del vertice del Ppe, del quale facevano parte all’epoca Merkel e Junker»13. Nel tempo politico del leaderismo e della debolezza del diritto crediamo infine che la garanzia per la democrazia italiana sia quella a cui appartiene la tradizione del presidente Mattarella, che gli antichi sintetizzavano nel motto: sub lege libertas (siamo liberi sotto la legge). 13. G. Grasso, intervista a Pierluigi Castagnetti, «Sergio un grande tessitore», in Avvenire, 31 gennaio 2015. Ci rimane da precisare un aspetto. Sul piano delle culture politiche sono anche possibili sintesi diverse rispetto a quella del cattolicesimo democratico; infatti è attualmente aperto il cantiere di un centro-destra postberlusconiano, di cui il sistema ha bisogno per funzionare correttamente. Da questo punto di vista il contributo di Diotallevi, che volutamente distingue De Gasperi da Moro e cerca di reintegrare il federalismo leghista in una prospettiva di Governo, potrebbe essere coerente con una proposta più ispirata a un cattolicesimo moderato e liberale interno a un’alternativa di centro-destra. Cfr L. Diotallevi, «Le insidie centraliste del programma del nuovo Presidente», in Corriere della Sera, 5 febbraio 2015, 1-2.
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