Fare come ad Alesia di Luciano Iannaccone

Per contribuire a promuovere un nuovo inizio dell’Europa e per liberare l’Italia dall’interessato immobilismo che la soffoca, le forze liberali e  riformatrici,  di  cui il  PD  con   Renzi  dimostra di poter essere il principale  protagonista, devono fare come Giulio Cesare ad Alesia. Dove egli diede ed accettò battaglia sia contro i Galli di Vercingetorige, che  stava assediando, sia contro i Galli sopravvenuti in soccorso, che a loro volta muovevano ad assediare i romani stringendoli tra due fuochi. Il fronte esterno richiede di battersi perché i rischi e soprattutto le opportunità della globalizzazione vengano affrontate e colte all’unico livello dimensionale che rende possibile un successo. Quello di un nuovo inizio dell’Europa, a cui gli Stati nazionali (che ci stanno) cedano le necessarie quote di sovranità che consentano in particolare: 1) una politica estera e dei confini comune, 2) un’unità economica e finanziaria che si traduca in un “ministero delle finanze” comunitario e che in una rinnovata “governance” tragga dalla disciplina dei conti nazionali la forza di un grande piano europeo di investimenti privati e pubblici che dia sostanza e speranza al presente ed al futuro di tutti. Non mi soffermo oltre su questo primo decisivo fronte,  perché  altri  ne  hanno scritto e ne scrivono con profonda competenza, a cominciare da Sergio Fabbrini. Sottolineo soltanto che un progetto di questo tipo richiede leader nazionali che, come i “Padri dell’Europa” degli anni cinquanta, sappiano posporre l’utilità di “piacere” al non fuggire davanti alla sfide della storia. Perché esse, se accettate e vinte, conquistano  progresso, libertà ed uguali opportunità per ognuno e per tutti. Un progetto che deve essere ben spiegato, per evitare vulgate mass-mediatiche deformanti.   Il secondo fronte è quello interno e riguarda la riforma dello Stato, non solo dal punto di vista formale, ma soprattutto sostanziale. E qui diventa necessario un breve “excursus” storico relativo all’Italia repubblicana, necessariamente più che sommario. Il sistema dei partiti è stato all’origine della democrazia repubblicana e al centro del funzionamento politico delle istituzioni pubbliche. Negli anni settanta, dopo che nel ventennio precedente l’Italia aveva realizzato uno sviluppo senza precedenti, “il miracolo economico”, con una corretta gestione del rapporto fra PIL e spesa pubblica (con il debito che alla fine degli anni sessanta era di poco superiore al 30% del PIL), cominciò, in un contesto internazionale che dopo le “economie del benessere” stava mutando, la deriva che ci ha portato fin qua. Anziché secondare un adeguamento innovativo del tessuto produttivo del Paese,  i  partiti ed i governi  scelsero  la via più facile: sostenere ed implementare il reddito nazionale con l’inarrestabile aumento della spesa pubblica corrente, che cominciò a galoppare anche per la moltiplicazione di pratiche di clientelismo e di sottogoverno. In poco più di vent’anni il debito quadruplicò e senza l’inflazione a due cifre si sarebbe moltiplicato ancora di  più,   mentre troppi politici e partiti sostenevano  il crescente costo del consenso con pratiche illegittime, senza dimenticare se stessi fra i beneficiari. Poi tangentopoli, il discredito dei partiti, l’avvento e le contraddizioni del maggioritario, Berlusconi, l’Ulivo e l’oggi. Malgrado alcuni tentativi significativi, il ruolo ed il potere della politica dei partiti sono andati vieppiù declinando, con il governo tecnico del 2011 che, pur con scelte talvolta necessarie, non ha dato gran prova di sé. Ma con il declino del potere politico e dei partiti, chi e cosa ne hanno preso in parte il posto ? Quello che possiamo chiamare lo Stato amministrativo: “la Magistratura, i rami alti, le tecnocrazie ministeriali si erano da tempo costituiti come forza “politica” indipendente (Giovanni Cominelli)”, anche per difendere i propri privilegi economici o per promuoverli. L’(in)comprensibile automatismo che fin dal 1966 legava l’incremento delle retribuzioni dei parlamentari a quello dei magistrati, aveva fatto crescere rapidamente gli stipendi di questi ultimi con interessate concessioni del Parlamento. Poi arrivò il turno dell’alta amministrazione pubblica ( che veniva da un benemerito costume di rigore) e delle sue molteplici e inarrestabili ramificazioni: nelle Camere e nelle istituzioni di rilevanza costituzionale , nei ministeri e in enti vecchi e nuovi con lo “strascico” di consulenti, tecnici, esperti in ruolo e fuori ruolo: “todos caballeros”. Alla debole politica tutto ciò sembrava rafforzare la propria posizione solo formalmente apicale e così uno spazio vuoto fu creato ed occupato, creando privilegi stridenti nell’attuale allocazione del reddito nazionale.   La dinamica inarrestabile sopra descritta ha portato ad una gestione del “potere reale” di tipo essenzialmente giuridico e formale, quindi assolutamente impotente ad esercitare corrette funzioni pubbliche in una moderna società. Intendiamoci,  non è che  la politica ed i  partiti non esistano più: in base ai voti ricevuti partecipano alla vita parlamentare ed esercitano attività di governo o di opposizione. Ma la loro possibilità di incidere sulla realtà è relativamente modesta, sicuramente assai inferiore a quella voluta dai Padri costituenti. E’ stato quasi miracoloso che in questi ultimi quattro anni la direzione politica abbia innovato così profondamente in alcune direzioni, ma il referendum del 4 dicembre 2016 si è incaricato di limitare il cambiamento. E, nel corso della campagna referendaria, abbiamo capito definitivamente qual è la visione della società, dello Stato e della politica propria dei cosiddetti neo-costituzionalisti: in Italia non è importante decidere, ma dibattere con la maggior partecipazione possibile, ci saranno poi sentenze (da quelle del giudice monocratico a quelle della suprema corte) a dirimere le questioni, indicando e prescrivendo le soluzioni. Come stupirsi allora che non raramente ordinanze ed atti giudiziari pretendano, con grande ignoranza, di tracciare le linee della politica industriale nazionale “quasi fossero la coscienza del Paese e il governo della politica economica”(Sabino Cassese) ? Protagonismo indebito della magistratura inquirente, patologia burocratica creata dall’inarrestabile elevarsi del “livello di precauzione” a scopo autoprotettivo, funzione giudiziaria e funzione legislativa a rischio incesto sono alcune delle evidenze che l’indebita gestione  giuridico-formale del potere producono nel nostro Paese: “summum jus summa iniuria”. Credo che l’assoluta maggioranza della magistratura e della burocrazia non condivida né pratichi protagonismi indebiti e  scivolamenti inerziali sull’asse inclinato, ma il movimento è in atto e chi vuole arrestarlo deve dirlo, sopportandone i relativi oneri. Anche perché tale movimento è non il solo, ma certo il principale responsabile della arretratezza economica e civile del nostro Paese, dalla stagnante produttività (l’effetto) al cattivo funzionamento di troppi decisivi settori pubblici (la causa). Occorra che la politica torni in campo per rivendicare il proprio dovere di direzione dello Stato fondata non innanzitutto sul formalismo giuridico, ma sulle scelte civili, economiche, sociali che il  voto dei cittadini affermi. Senza di ciò l’Italia è condannata ad una inarrestabile decadenza che niente e nessuno potrà evitare. L’ “ancien régime” era fondato sulla sacralità del re, sull’alleanza tra trono ed altare e sul privilegio del “sangue blu”, il nostro “nouvel régime” si basa sul privilegio di chi si è asserragliato intorno alla Carta costituzionale (e ad una interpretazione evolutiva e discutibilissima della stessa) non per difenderla e promuoverla, ma per farne strumento di una gestione del potere di tipo giuridico e formale, funzionale alle proprie interessate inclinazioni e generatrice  instancabile di carte e di immobilismi di ogni tipo.     Allora il secondo fronte consiste nel combattere il  “nouveau régime” e la debolezza della politica per ristabilire il primato del potere legislativo ed esecutivo nella guida della cosa pubblica, condizione non sufficiente, ma necessaria per un nuovo e miglior corso della vita nazionale. E’ un compito articolato, che però trova un obbiettivo centrale nella modifica costituzionale ed istituzionale che introduca il semi-presidenzialismo “alla francese”, con elezione popolare del capo dello Stato ed assemblea legislativa monocamerale eletta con collegi uninominali a doppio turno. I cittadini scelgano con il loro voto chi deve guidare lo Stato e con quale maggioranza parlamentare. Fare come ad Alesia prima che una scelta è una necessità non rinviabile.   Luciano Iannaccone      

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