Demonio cattolico.

di Giovanni Bianco Giulio Andreotti è un senatore a vita che incarna un’anima consistente e cupa della prima Repubblica, quella più inquietante, fatta di servizi segreti deviati, di collusioni oscure, di mafia e delitti, di logge massoniche segrete cospiratrici contro lo Stato democratico, di palazzinari, servi del potere, gestori delle tangenti, signori del clientelismo e delle tessere, banchieri e finanzieri di bassa lega e disonesti. L’aver letto stamane che in un’intervista che sarà trasmessa tra poco, per una trasmissione condotta da Gianni Minoli, “La storia siamo noi”, ha elogiato il finanziere criminale Sindona e criticato l’eroe borghese Giorgio Ambrosoli, non mi ha meravigliato più di tanto, si tratta di parole coerenti con il suo passato, pur provocando profonda indignazione. Come si fa a ricoscere il titolo di “senatore a vita” ad un personaggio siffatto? E che dire poi della sua squallida corrente democristiana? Tornano in mente le scene del film “Il divo”, del regista Sorrentino, che mi sembrò pure un tantino esagerato, ma realista, con il cinico “demonio cattolico” al centro della scena, indecifrabile, impenetrabile, senza una minima emozione, pronto a digerire tutto, anche la morte di Aldo Moro. Ma merita pure di essere ricordato un libro di Steve Pieczenick -il professore americano esperto di terrorismo internazionale, collaboratore di Kissinger, inviato in Italia dal “Dipartimento di Stato” su sollecitazione di Cossiga, durante il rapimento di Moro, che decise praticamente da solo di lasciare quest’ultimo al suo tragico destino – edito in Francia nel 2007 (“Nous avons tuè Aldo Moro”), nel quale è scritto che presa la terribile scelta suaccennata, dopo il falso comunicato del “lago della Duchessa” e prima di tornare a Washington, l’impose a Cossiga che la comunicò ad un impassibile Andreotti. In giornata quest’ultimo ha precisato, ha cercato di chiarite l’inaccettabile valutazione del grande coraggio di Ambrosoli. Precisazione ampiamente insoddisfacente, anche perchè dell’empatia andreottiana con Don Michele Sindona, “il salvatore della lira”, come lo definì il divo Giulio, non si fa cenno, come se fosse qualcosa di ovvio e scontato.

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