Da Europa di oggi

Mattarellum? Sì, grazie L’ottimo è nemico del bene. La legge Mattarella è criticabile per vari aspetti, tuttavia aveva doti notevolmente superiori a quella vigente. Era una legge approvata da un’ampia maggioranza parlamentare, sulla base di un vasto consenso popolare espresso in un referendum e soprattutto col velo di ignoranza sui suoi possibili beneficiari. Tutt’altra filosofia rispetto a quella della legge porcata del 2005: votata a ristretta maggioranza, sulla base di un intento di parte (quello di ridurre i danni di un centrodestra perdente), che toglie un rapporto di conoscibilità e di responsabilità tra elettori ed eletti e che, per questo, trasforma la giusta legittimazione diretta dei governi solo nell’investitura diretta al candidato premier. Se quest’analisi è giusta, prima di concentrarci sull’ottimo, che per il Pd è il collegio uninominale maggioritario a doppio turno, bisogna concentrarci sul bene, con una semplice legge di due commi, che si può votare in una settimana, che elimina la porcata e fa rivivere la legge Mattarella. Ciò non impedirebbe affatto di verificare successivamente altre possibilità di miglioramento, ma intanto ci riporterebbe a un livello ragionevole di qualità della democrazia. Queste sono le riflessioni che avevano portato poco prima del referendum elettorale a raccogliere 179 firme di parlamentari tra camera e senato, che abbiamo inteso nei giorni scorsi rilanciare con Arturo Parisi chiedendo ad altri di aderire e ai firmatari di dar vita alle più varie iniziative. Se si volesse, basterebbe poi aggiungere altri due commi, riprendendo un disegno di legge di Leopoldo Elia del 2000, per allineare la legge Mattarella-camera a quella del senato. Quest’ultima, infatti, era la trascrizione effettiva del quesito referendario (una sola scheda, un unico voto, valido per il maggioritario e per il recupero), mentre quella della camera attribuiva il recupero con una seconda scheda che portava i poli a dividersi. Una riforma che Elia proponeva non solo per essere più fedeli al responso referendario ma perché, fin quando entrambe le camere danno la fiducia, solo sistemi il più possibile identici rendono minimo il rischio di maggioranze diverse. Contro questa soluzione, su cui si è favoleggiato di un’assurda ipotesi di scambio col Lodo costituzionalizzato, si sono presentate obiezioni sbagliate. La prima è quella di Berlusconi, interessato a un meccanismo di verticalizzazione solo sui candidati premier, che forse giova a lui ma non alla qualità democratica e neppure alla governabilità. Le seconde, nell’ambito del Pd, si sono concentrate sul rischio che non si possa presentare il simbolo del partito, ma si parte da un parametro erroneo. Per il paese il Mattarellum è meglio o peggio della porcata? Se è peggio vale la pena di cambiarlo, il problema del Pd viene dopo. Ammesso e non concesso che ci dobbiamo occupare anche di come far presentare il Pd, ci sono comunque almeno tre contro-obiezioni. La prima è formale: la legge non obbliga affatto ad un simbolo unico per i collegi. La seconda è politica: se c’è da fare una coalizione di cui il Pd sarà comunque il perno quantitativo e qualitativo e si sceglierà insieme un simbolo, non per questo la forza del Pd scomparirebbe insieme al simbolo; niente impedisce comunque di presentare il simbolo dove, nella gran parte dei casi il candidato sarà del Pd, e di fare desistenze altrove. In ogni caso una strategia politica degna di questo nome individua il bene comune possibile e lo persegue, la tattica segue, non viceversa. Stefano Ceccanti

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