Criticando Renzi

di Giovanni Bianco L'8 dicembre si svolgeranno le primarie per l'elezione del nuovo segretario del Pd. C'è un gran discutere. Matteo Renzi sembra essere il candidato più sostenuto, spalleggiato da poteri forti, il meno ricco di contenuti, progettualità ed ideali. Mi è capitato di ascoltarlo, di cogliere una certa abilità comunicativa insieme ad una superficialità palpabile ed evidente, che sembra accompagnarlo in tutte le sue uscite pubbliche, sempre più frequenti. Il suo modo di porsi è quello di un aspirante leader mediatico, che ricorda fasti e stili di un suo anziano avversario politico oggigiorno in declino, che esprime il lato più frequente della politica dei nostri giorni (o almeno di una consistente parte di essa), così sprovvista di discorsi di alto profilo. Non ho mai pensato che D'Alema sia un leader intoccabile e non criticabile della sinistra italiana, pur se indiscutibimente importante, anche lui ha compiuto i suoi errori, a cominciare dall'intervento militare in Kosovo e dalla sua malcelata ostilità nei confronti di Romano Prodi. Tuttavia, le sue ultime considerazioni su Renzi mi pare colgano nel segno, indicano con lucidità i forti limiti di questo giovane politico, così estraneo alla cultura non soltanto della sinistra, ma pure dell'Ulivo e del centrosinistra (o "sinistracentro" che dir si voglia). Di sovente ripete formulette (un tantino schematiche) alla moda, improntate al più nudo e crudo liberismo ed antistatalismo, parla di riformismo senza specificarne i contenuti e confondendo le riforme con le controriforme, si atteggia ad attento esponente di una mai specificata "terza via" tra il liberismo di destra e la socialdemocrazia, così riproponendo idee di stampo blairiano. Insomma, penso che i suoi numerosi fans, più o meno interessati, a partire dagli ultimi, saliti in corsa sul carro del probabile vincitore, stiano prendendo un granchio, confondendo lo spessore di un riformismo all'altezza delle sfide del ventunesimo secolo, nel quale c'è ancora bisogno dello Stato e del pubblico potere per evitate il trionfo incontrastato delle "mani invisibili" del capitalismo, sia su scala europea che su quella globale. con intenti sostanzialmente moderati o, addirittura, conservatori, che si muovono nell'orizzonte del primato del mercato e di una idea di democrazia più populistica e plebiscitaria che partecipativa. A questo si aggiungano i rischi di una deriva complessiva del sistema politico, le spinte antisistema, le eventuali, pur se non necessarie, scissioni, la crescente e comprensibile disaffezione dell'opinione pubblica che porta all'apatia ed all'indifferenza. Non me ne vogliano gli entusiastici sostenitori di Renzi se il quadro che tratteggio è così distante dal loro, che finisce con il sorvolare con facile ottimismo sui limiti (anche lapalissiani) del politico supportato. Probabilmente partiamo da due concezioni eterogenee dell'agire politico, del progressismo, del rapporto tra sfera pubblica e sfera privata e tra economia pubblica e mercato; due opposte visioni che connotano l'attuale fase del dibattito nell'area democratica e di sinistra e che diverranno inevitabilmente sempre più conflittuali. Ed è' dunque preferibile essere "pietra d'inciampo", per riprendere l'incipit del discorso con cui Dossetti, nel febbraio del 1986, tornò a parlare in pubblico a Bologna dopo un lungo silenzio. Ciò pure con riguardo non soltanto alla critica di Renzi, ma anche ad altri e preminenti temi, tra cui quello della Costituzione, che non è un documento di parte, un testo da riporre in soffitta e da rottamare, un ostacolo per l'attuazione delle riforme da realizzare.          

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