scuola e Costituzione: un'ulteriore riprova che il prof. Rodotà non sarebbe stato un buon candidato Presidente

  In un articolo sul Manifesto di oggi il prof. Rodotà affronta la questione del referendum previsto a Bologna contro il finanziamento alle scuole paritarie private e attribuisce (addirittura!) al successo di quella consultazione il compito di rientrare nella legalità costituzionale che sarebbe stata fino ad oggi violata, richiamando soprattutto il terzo comma dell’art. 33 col noto inciso “senza oneri per lo Stato”. Quell’inciso fu a lungo dibattuto sino al 2000, anche con riferimento alla volontà del Costituente: in particolare si discusse se il limite fosse legato solo all’istituzione delle scuole, di cui parla il medesimo comma, e non anche al loro funzionamento e se si trattasse di una formulazione di carattere assoluto o solo tesa a far rivendicare un diritto a sovvenzioni, evitando così un vincolo rigido per le istituzioni. Ciò rese difficile la vita del primo centrosinistra, quello di 50 anni fa, che subì addirittura due crisi di governo: una da sinistra nel 1964 per le resistenze dei socialisti ad assicurare fondi aggiuntivi alla media privata nel momento in cui quella pubblica non poteva da sola far fronte ai nuovi ingressi causati dall’estensione dell’obbligo, e una da destra nel gennaio 1966 ad opera di settori della destra dc (e del relativo retroterra ecclesiastico conservatore)  contro la nuova materna statale. Dopo il 2000, però, con la legge Berlinguer (la 62/2000) che attua il successivo comma del 33, il quale intendeva costruire un nuovo sistema paritario secondo l’intuizione di Moro alla costituente (per cui in questo ambito lo Stato  è sia regolatore sia gestore non monopolistico) il sistema pubblico è internamente pluralistico, è fondato su scuole pubbliche statali, scuole pubbliche degli enti locali, scuole paritarie con gestione privata che rispetta gli standard di legge. Esattamente come da fine anni ’50 per la laicissima Francia e dagli inizi degli anni ’80 con le leggi volute dal Psoe di Felipe Gonzalez in Spagna. Dopo il 2000, pertanto, le scuole private sono solo quelle che restano fuori dal regime di applicazione della 62/2000, le altre sono a tutti gli effetti pubbliche. Si può certo discutere sul come, sul quanto, sul quando finanziare queste ultime: si tratta di scelte politiche su cui ognuno può sostenere giustamente ciò che crede, ma la legalità costituzionale non c’entra. Ce lo spiega la stessa Corte costituzionale nella sentenza 42/2003 che ritenne inammissibile il referendum sulla legge Berlinguer, una delle leggi più qualificanti dell’esperienza di governo dell’Uliv : “Il principio della esclusione dal sistema scolastico nazionale che si pretende di introdurre in via referendaria rende attiva una connotazione discriminatoria a carico delle scuole private, pur a fronte di una disciplina dettagliata che realizza un sostanziale regime di parità”. Come se non bastasse, nella medesima direzione di uno Stato regolatore prima che gestore si è poi mossa anche la revisione del Titolo V nel 2001 che al nuovo art. 118, nel quarto comma, ha riconosciuto la sussidiarietà come principio espansivo che riguarda anche le modalità di erogazione dei vari servizi pubblici. Non si può quindi usare la Costituzione come una clava accusando chi non condivide le proprie posizioni, giuste o sbagliate che siano, di essere ipso facto contro la Carta. Per questo lo scontro di oggi, al di là della specifica questione scolastica, dà ulteriori argomenti a chi non pensa che il ruolo di Presidente della Repubblica nel nostro sistema trovasse nel prof. Rodotà un candidato adatto.

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