Roberto Ruffilli 31 anni dopo, di Stefano Ceccanti

Un aneddoto per dire cercare di sdebitarsi almeno un po' - senza riuscirci - anche con Beniamino Andreatta.
Avevo conosciuto Roberto Ruffilli alcuni anni prima in quel grande luogo di cultura politica che è stata la Lega Democratica di Pietro Scoppola, Achille Ardigò e Paolo Giuntella.
In quell’inizio del 1987 all’Arel Roberto Ruffilli e Nino Andreatta, che appunto conoscevano me e Giorgio Tonini dai tempi della Lega, ci chiesero cosa stesse maturando nell’associazionismo giovanile di area cattolico democratica, a partire da un titolo “L’Europa necessaria, il riformismo possibile” che avevamo dato alla tavola rotonda politica del Congresso della Fuci di qualche settimana prima.
“Lasciatemi indovinare – disse Andreatta – l’Europa necessaria sarebbe la moneta comune e l’esercito europeo; il riformismo possibile sarebbe un po' di welfare se avanza qualcosa”.
Il preoccupato Ruffilli si inserì subito dicendo: “Vorrei rassicurarvi. Il professor Andreatta si diverte a provocare i suoi interlocutori nel primo quarto d’ora. Io lo definirei il quarto d’ora nazi del professore. Superato questo choc naturale programmato, viste le reazioni degli interlocutori, il professor Andreatta ritorna ad essere quello che è, un sincero democratico con venature di sinistra”.
Dopo questo e altri simpatici duetti iniziò una discussione su come costruire una vera unità europea e su come tentare di europeizzare le istituzioni italiane, con idee per allora visionarie, come una moneta unica e un’architettura politica da affiancarle e il superamento del proporzionalismo che era ormai diventato una palla al piede sia a livello locale sia centrale.
Dal loro punto di vista, quello di colpire i riformisti nel e del sistema, anche in questo caso, come quasi sempre, le Brigate Rosse avevano scelto bene.
E grazie a Marco Di Maio, deputato di Forlì, che mi ha detto di scrivere.
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