Più liberalismo contro l'ondata illiberale, di Giorgio Armillei

La vulgata vuole
che il pontificato di Papa Francesco segni una presa di distanza della Chiesa
cattolica dalla stagione liberale che ha dominato la scena mondiale alla
fine del XX secolo. Facendo così argine al presunto cedimento del mondo cattolico,
anche di quello collocato a sinistra nel PD, di fronte ad una globalizzazione
sottomessa alle logiche dell’economia finanziaria. Intorno a questa convinzione
e alle questioni limitrofe, ecco allora le sentenze di una schiera di
opinionisti: si parla così di cedimento a logiche liberali o a un
moderatismo che poco ha a che spartire con le istanze ugualitarie e
solidaristiche proprie del cattolicesimo sociale (Tarquinio); di liberismo pettinato che avrebbe conquistato
il cuore del PD renziano (Damilano); del
jobs act come fondato su una visione del lavoratore come strumento di profitto
e non come destinatario di diritti (De Angelis). E così via.
La sintesi
intellettualmente più elaborata sul presunto naufragio dell’ordine liberale la
troviamo nell’ultimo libro di V.E.Parsi.
Si è rinunciato alla politica come ordine della società cui compete coordinare,
graduare, scadenzare la molteplicità della società. Si sono tollerate la “plutocratizzazione”
delle democrazie, le misure di “macelleria sociale” dei governi tory di
Margareth Thatcher, la sostituzione della solidarietà con una concezione “onnivora”
del mercato. E si è costruita una narrazione per la quale la minaccia sta nel
protezionismo, nel sovranismo, nel nazionalismo e non anche principalmente nell’ideologia
neoliberale. Prevedibile l’esito del ragionamento di Parsi: il populismo nasce
da questi cedimenti.
Al di là dell’indagare
sui rapporti di causalità tra liberismo e populismo, quello che interessa
notare è come le posizioni del mondo cattolico siano tutt’altro che univoche e
riducibili ai pronunciamenti antiliberali. Non solo Papa Francesco (messaggio per
la giornata della pace 2019) – pur essendone un critico severo - dice che la
globalizzazione ha bisogno di fraternità e non di chiusura e di nazionalismo. E
che sono insostenibili i discorsi politici che tendono ad accusare i migranti
di tutti i mali. Ma se prendiamo Civiltà cattolica
come indicatore del dibattito culturale ecclesiale, vediamo che anche il
giudizio sulla globalizzazione neoliberale è tutt’altro che liquidatorio. Al
contrario c’è un ampio confronto con accenti e posizioni diverse.
Così per uno
Spadaro che gioca pericolosamente sul crinale popolare – populista, c’è un
Occhetta che sottolinea l’irrompere del “vento freddo della democrazia diretta”.
Per il primo non basta più coltivare “i giardini delle élite” e discutere
davanti ai “caminetti degli illuminati”. La questione della democrazia è oggi
la questione del popolo e esige una riconnessione con il popolo. In due
direzioni: il popolo della rete che vuole
una democrazia immediata e il popolo del lavoro che mostra una “differenza
antropologica con l’uomo di Davos”. Per il secondo la democrazia immediata, con
o senza l’innervatura del web, è il trionfo delle lobby che operano per
ottenere misure di favore a tutela di interessi sempre più settoriali e
particolari. La democrazia immediata
sfugge dunque dalle mani dei cittadini ancor più della democrazia
rappresentativa.
Per un
Figueroa che prende giustamente le distanze dagli errori della teologia della
prosperità statunitense, ma con accenti e venature antiliberali che schiacciano
liberismo e american dream sulle
posizioni del fondamentalismo, c’è un Salvini (GianPaolo) che anziché demonizzare
la globalizzazione economica richiama il ruolo delle regole e della
sussidiarietà. A patto che le prime non evochino l’impossibile formazione di
organismi centrali globali, ai quali occorre invece preferire reti di autorità,
governative e private, articolate per funzioni e per aree regionali. E che la
seconda non venga concepita come un’alternativa al mercato, con le parole di
Luigi Einaudi.
Da ultimo (marzo
2019) è D.Christiansen a sottolineare con forza due punti essenziali. Il primo:
a partire dal Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica è stata uno dei motori
della globalizzazione liberale, basti pensare all’anima cattolica dell’Unione
europea. Il secondo: le preoccupazione principale della Chiesa cattolica oggi
non è l’egemonia della globalizzazione
quanto l’avanzare dell’ordine mondiale illiberale. Nell’elenco dei
fronti di avanzamento di Christiansen l’Italia è ovviamente insieme a Brexit, a
Trump, all’Ungheria.
Arruolare il
mondo cattolico tra i nemici della globalizzazione liberale è dunque
impraticabile. Per vincere l’ondata illiberale occorre essere ancor più
decisamente e coerentemente liberali, rifuggendo dalla tentazione di inseguire
nazionalismi e sovranismi sul loro terreno.
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