IN RICORDO DI DON PIETRO GIANNESCHI. 15.11.24 | INTERVENTO DI DON SEVERINO DIANICH
Don Severino Dianich
DAL CONCILIO VATICANO II AL SINODO DEI VESCOVI 2023-2024
1. Percorsi intricati
Come mai è necessario ancora un Sinodo per tradurre nella normativa e nel costume il
principio conciliare che tutto il popolo di Dio è un «popolo messianico ... strumento della redenzione?
Nella recezione del concilio, evidentemente, qualcosa non ha funzionato.
Il tema della sinodalità, anche se il termine non vi compare, è stata l’anima dei lavori
conciliari:
si pensi ai dibattiti sulla collegialità episcopale e alla scelta del popolo di Dio come categoria fondamentale per dire la Chiesa.
In seguito al concilio già nei primi anni Settanta nuove pratiche, che sorgevano spontaneamente per attuare la visione conciliare della Chiesa.
Nascevano qua e là i consigli pastorali.
Paradossalmente sarà il nuovo Codice, con la sua insistenza sul valore esclusivamente
consultivo dei consigli, a mortificare di fatto la nascente prassi di una tranquilla e feconda sinodalità.
Nei fedeli chiamati a partecipare a laboriose riunioni, che non si concludono con alcuna decisione concreta.
Non poteva non nascere un senso di frustrazione e disamore.
Senza dire del prevalere negli ultimi decenni di una cultura sempre più individualista.
Oggi recuperare nella Chiesa le sue tradizioni sinodali, è un bel segnale controcorrente.
2. L’emarginazione della categoria di “Popolo di Dio”
Uso nel comunismo.
Movimenti antigerarchici.
Quindi Sinodo 85 comunione.
Si rovesciava la disposizione della LG voluta dai Padri, quando avevano voluto il capitolo sul
popolo di Dio seguisse immediatamente quello sul mistero della Chiesa, precedendo quello
sulla gerarchia.
Se la comunione è l’anima della Chiesa, “popolo di Dio” ne dice il corpo e ne indica il soggetto storico.
Vale anche per la sintassi …
Chi, infatti, concretamente, fa esistere la Chiesa è il convergere delle persone le quali, grazie
alla fede comune, nella grazia della comunione, compongono quel soggetto collettivo che è la Chiesa, uno dei protagonisti della storia del mondo.
3. Una sinodalità debole
Le spinte contrarie alla principalità della categoria di popolo di Dio, che hanno portato al Sinodo 1985, avevano influenzato anche la riforma del Codice, conclusa già nel 1983.
Il termine “Popolo di Dio” vi ricorre 54 volte, ma esclusi sette canoni, tre di carattere generale e quattro riguardanti la partecipazione attiva alla liturgia[1], non vi compare come soggetto, ma come oggetto delle cure pastorali dei ministri ordinati.
Il can. 781, riprendendo quasi alla lettera AG 35, definisce il diritto/dovere dei fedeli di evangelizzare, in seguito, però, il Codice riduce la missione della Chiesa nelle categorie ristrette delle cosiddette “missioni estere”, governate dal papa e consegnate a operatori specializzati.
L’atto missionario fondamentale è di tutti e di ciascuno, ma non avendo una valenza solo individuale, si concretizza in un agire collettivo che non può che essere sinodale.
Nel Codice, per niente interessato alla missione di tutti i fedeli, rende obbligatori il consiglio presbiterale e quello degli affari economici fa dei consigli pastorali organismi facoltativi fa dei consigli organismi facoltativi con un’insistenza (8 ricorrenze) sul loro carattere puramente consultivo[2].
Anche la sinodalità episcopale è sottoposta a significative limitazioni da parte dell’autorità papale.
Né i concili particolari, né le conferenze episcopali possono promulgare decreti, che non siano stati sottoposti alla recognitio della Santa Sede.
Le conferenze episcopali, comunque, mai hanno il potere di imporsi ai singoli vescovi, la cui
competenza rimane intatta[3].
1992, Lettera ai vescovi “Communionis notio” ne propone un fondamento teologico che è stato molto contestato nella comunità teologica:
la Chiesa universale sarebbe «una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare»[4].
Si riduceva in tal modo l’esercizio effettivo della “potestas collegialis” al solo evento del concilio ecumenico[5].
4. Un Sinodo sulla sinodalità
Si tratta di recuperare e valorizzare LG 9 sulla qualificazione del popolo di Dio come il soggetto storico deputato a proseguire la missione del Messia:
“Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo”.
Papa Francesco, costatando l’inadeguatezza della prassi e della normativa rispetto alle
intenzioni del concilio, che aveva voluto restaurare la tradizione della collegialità episcopale
e rendere tutti i fedeli protagonisti della vita e della missione della Chiesa, ha voluto un Sinodo sul tema «Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione».
5. Il Documento finale
5.1. Il cammino sinodale è stato proteso verso una riattivazione dell’operosità missionaria:
«Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione», con una notazione elementare ma fondamentale e cioè che “14. La Chiesa esiste per testimoniare al mondo l’evento decisivo della storia: la risurrezione di Gesù”. Ciò che è mancato è una presa di coscienza che la prosecuzione della fede nella storia non può più essere affidata alla trasmissione intergenerazionale della fede e alla prassi del battesimo dei bambini.
5.2. Dopo un lungo vagare nell’incertezza sul senso stesso della sinodalità il Documento
approda ad una adeguata presentazione al n. 30
a) stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa,
b) strutture e quei processi ecclesiali a livello istituzionale,
c) l’accadere puntuale di quegli eventi sinodali
5.3. Da notare che in un documento magisteriale per la prima volta si usa una
schematizzazione ascendente della Chiesa:
communio Fidelium, communio Ecclesiarum, communio Episcoporum [6]
In correlazione si auspica la possibilità che i fedeli laici responsabili della missione
possano anche predicare nella liturgia.
Sì, ma a patto che il ruolo del prete non si risolva nel compito sacrale di consacrare
l’eucarestia o compiere il gesto sacramentale, mentre la liturgia della Parola sarebbe affidata ad altri.
5.4. La questione dell’ordinazione al diaconato delle donne ha costituito una specie di tormentone del dibattito sinodale. Riservata infine dal papa a uno dei gruppi di studio[7], al Sinodo è rimasta almeno la possibilità di dichiarare al n. 60 che “la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale resta aperta”.
5.5. La figura del vescovo è stato frequente oggetto di discussione con la richiesta di una partecipazione dei fedeli alla nomina e alla destinazione dei vescovi e di una precisazione di quali sono gli ambiti dell’autorità dei vescovi in modo da riconoscere gli spazi aperti alle competenze di altri carismi
(con uno svarione concettuale curioso sul “discernimento di ciò che appartiene in
proprio al Ministero ordinato e di ciò che può e deve essere delegato ad altri”, ???
5.6. Per i consigli si chiede che siano resi obbligatori che vengano determinate le procedure per la loro composizione che si curi vi prendano parte più che fedeli già impegnati in servizi interni alla vita della comunità 106 “Battezzati impegnati nella testimonianza della fede nelle ordinarie realtà della vita e nelle dinamiche sociali, con una riconosciuta disposizione apostolica e missionaria”.
5.7. Si chiede un ritorno del tradizionale dovere della comunità di rendere conto al pastore. Verso il dovere del pastore di rendere conto alla comunità. Per il rendiconto economico annuale, se possibile sia certificato da revisori esterni,
5.8. 125-136 a proposito dell’esercizio locale della collegialità episcopale si chiede la revisione dell’istituto della recognitio della Santa Sede sui documenti del concili particolari (da promuovere) e delle conferenze episcopali, nonché precisazioni sul valore dottrinale e l’autorità delle conferenze episcopali, cui attribuire autorità sulle materie che non richiedono l’intervento a carattere universale del papa
5.9. Il Sinodo dei Vescovi, conservando la sua natura episcopale, potrà vedere anche in futuro la partecipazione di altri membri del Popolo di Dio
Osservazione conclusiva
Il Documento finale resta un testo fondamentale per lo sviluppo della sinodalità nella Chiesa
in quanto promozione di un modus agendi, mentre non si vede cosa ne sarà a proposito dei processi ecclesiali a livello istituzionale.
La riforma del Codice è stata chiesta frequentemente nel Sinodo, però al di là della formulazione di questo o quel canone, ciò che oggi è in questione è il codice stesso, se ci debba essere un codice, o diversi codici o nessun codice.
Il quadro della riforma che si sta profilando è così ampio da aver bisogno della progressiva elaborazione di un programma dai tempi lunghi.
La conversione della mentalità ne è la condizione di base, ma è anche vero che la mentalità è anche determinata dalle regole vigenti.
L’esperienza del Sinodo ha prodotto delusione rispetto all’attesa di singoli problemi di cui
molti si attendevano la soluzione.
In ogni modo è già stata attuazione di una riforma della Chiesa:
basti pensare alla compresenza di vescovi e non vescovi alla pari con lo stesso diritto di voto.
Il Documento finale resta un testo autorevole analogo ai Documenti del concilio.
Come per il concilio anche per il Sinodo il futuro mostrerà quanto valida ed efficace sarà la
recezione nella vita quotidiana delle Chiese, nella prospettiva di un futuro che vede, almeno in Occidente, una diminuzione dei fedeli e un dimagrimento dell’apparato istituzionale.
La destinazione della sinodalità alla missione sarà, quindi, il banco di prova della recezione del Sinodo
[1] Cann. 204, 226, 781 e cann. 837, 897, 899, 1173.
[2] Nel quadro della diocesi, vedi i cann. 492 - §1; 502 - §1; 1277; 1292 - §1; 495 - §1; 500 § 2.Per i diaconi, benché siano ministri ordinati, non è previsto un organo collegiale che li rappresenti. Nel quadro della parrocchia, vedi i cann. 511; 514 § 1; Can. 536.
[3] Cann. 446 e 455 §§ 1, 2 e 4. Per le conferenze episcopali, a dire il vero, già ChD 38 disponeva la necessità della recognitio della Santa Sede. 1998, Giovanni Paolo II, per disporre nel motu proprio “Apostolos suos”3 che «i Vescovi non possono autonomamente, né singolarmente né riuniti in Conferenza, limitare la loro sacra potestà in favore della Conferenza Episcopale».
[4] Congregazione per la dottrina della fede, Lettera ai vescovi su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, (1992).
[5] Si veda la diversa normativa del Codice delle Chiese orientali che, invece, definisce il patriarca un «vescovo cui compete un potere su tutti i vescovi, non esclusi i metropoliti, e su tutti gli altri fedeli della Chiesa alla quale è preposto, a norma del diritto approvato dalla suprema autorità della Chiesa», e poi precisa che si tratta di una potestas «ordinaria et propria» (cann. 56 e 78. Vedi S. Dianich, Per una collegialità intermedia fra il papa e il vescovo. Il modello orientale, in Id, Diritto e teologia. Ecclesiologia e canonistica per una riforma della Chiesa, Dehoniane, Bologna 2015, 192.
[6] Nel Popolo santo di Dio, che è la Chiesa, la comunione dei Fedeli (communio Fidelium) è al tempo stesso la comunione delle Chiese (communio Ecclesiarum), che si manifesta nella comunione dei Vescovi (communio Episcoporum), in ragione del principio antichissimo che «la Chiesa è nel Vescovo e il Vescovo è nella Chiesa» (S. Cipriano, Epistola 66, 8).
[7] 1. Il grido dei poveri; 2. la missione nel digitale; 3. i ministeri (inclusa la riflessione sul posto e la partecipazione delle donne nella Chiesa e la ricerca sull’accesso delle stesse al diaconato); 4. le relazioni con le Chiese orientali; 5. Le relazioni tra vescovi, vita consacrata e movimenti ecclesiali; 6. la formazione dei sacerdoti; 7. la figura e il ministero del vescovo; 8. il ruolo dei nunzi; 9. l’ecumenismo; 10. le questioni dottrinali, pastorali ed etiche “controverse”, per chiarire meglio i «rapporti tra pastorale e morale».
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