Il governo Draghi ha due missioni, di Luciano Iannaccone

Sono
due gli obiettivi irrinunciabili che il governo Draghi deve perseguire e
raggiungere. Ma prima di parlarne non sarà inutile occuparci ancora della sua
genesi e delle acque politiche in cui sta ora navigando. Queste ultime sono
abbastanza tranquille, cosa non scontata dato che, fino ad un momento prima
della convocazione di Draghi al Quirinale, l’evento era considerato
impraticabile da molti sapientoni, cantori delle “magnifiche sorti e progressive”
del Conte due. Ora si è passati all’estremo opposto, per cui il governo in
carica è ormai collocato tra gli eventi necessitati dalle leggi della natura,
come l’acqua fluviale che scorre dalla sorgente alla foce o la periodica
comparsata del drappello delle Sardine. Chi sa perché?
La
metamorfosi ha interessato sia molti commentatori che tanti esponenti politici,
anche purtroppo tra i riformisti del PD
con le onorevoli eccezioni di Tommaso Nannicini, Giorgio Gori e di altri con
loro. Prima si pontificava per testificare l’assenza di alternative al Conte
due e sorridere con indulgenza di ogni
ipotesi alternativa. Oggi gli stessi sono in pista come solerti corifei del nuovo corso.
Nel
ruolo degli ultimi giapponesi in armi, ma senza un briciolo della loro dignità,
sono rimasti i combattenti del “Fatto Quotidiano” e dintorni, con le truppe
ausiliarie fornite da conduttori e programmi televisivi a tema unico,
consistente nella messa a punto delle malefatte di Renzi. E’ il convitato di pietra permanente, bruciato
in effigie durante ogni convivio. Il che è la migliore prova che è stato lui,
con Italia Viva compatta, fattore decisivo della svolta Draghi, resa
possibile dalla scelta eccellente del Presidente della Repubblica.
Questa
svolta ha portato alla perdita di potere negoziale ed all’ostilità di “social” ed
elettori orfani di Conte o di chissà cosa: ecco il prezzo che è stato pagato da
Italia Viva e da Renzi. Come altri nella storia politica, a cui dà voce una
esclamazione di Cavour : “Perisca il mio nome, perisca la mia fama, purche
l’Italia sia!”.
Carlo
Calenda il 26 febbraio ha twittato cominciando così: “Per mesi abbiamo chiesto
l’arrivo di Mario Draghi tra l’ilarità e lo scetticismo generale. Per questo
siamo molto felici del governo Draghi”. Oppositore coerente, Calenda aveva
ragione di essere felice, ma un decisivo cambiamento in meglio della realtà non
avviene tanto perché lo si chiede, ma perché si è capaci di provocarlo con gli
strumenti della politica.
Per
questo un importante imprenditore italiano come Giovanni Cagnoli, editorialista
su Linkiesta e sul sito della Fondazione Einaudi, ha capito e sostenuto per
tutto gennaio la battaglia di Renzi e dei suoi. Quando la sera del 2 febbraio,
Mattarella ha convocato Draghi al Quirinale, ha così twittato: “Possiamo dire
che questo esito FANTASTICO è merito pressoché esclusivo di una persona che si
chiama Matteo Renzi.… “Mai così tanti dovettero tanto a così
pochi”(W.Churchill)”.
Eccessivo
? Crederei di no, anche perché ricordo bene sia quella sera che le battaglie e
gli scontri che l’avevano preceduta. E perché il richiamo, naturalmente solo
analogico, alla RAF ed alla battaglia d’Inghilterra è un sincero riconoscimento
alle donne ed agli uomini dei gruppi parlamentari di Italia viva, che hanno
resistito ad ogni tipo di pressioni per lunghe settimane. Giovanni Cagnoli
esprime in modo peculiare la lettura della crisi da parte di buona parte del
mondo del lavoro e dell’impresa, pur con sensibilità diverse. Ad esempio, Mario
Gasbarrino, un altro imprenditore, ha twittato il 4 febbraio: “Non amo Renzi e
non comprerei un auto usata da lui (e da nessun politico), ma se abbiamo Draghi
è tutto e solo merito suo, ricordiamocelo”.
Molto
diversa, anzi opposta la lettura della
crisi da parte di Enrico Letta, che il 28 gennaio così interveniva ad un
incontro organizzato dal Pd Sicilia: “E’ incredibile ed irresponsabile quanto
sta accadendo nel nostro Paese, avvitato in una crisi di governo che gli
italiani non capiscono, figurarsi quelli che vivono in altri paesi… Vedo solo
fazioni e rappresentazioni di interessi di parte. Spero che la crisi si risolva
in tempi rapidi, massimo in quarantotto ore. Altrimenti il rischio concreto
sarebbe un danno irreparabile per l’Italia”. Aveva capito qual’era la posta in
gioco? O forse la politica con la “p” minuscola suggeriva di fare il “pesce in barile”? La morale della storia: è
facile impancarsi, molto meno rendersi davvero utili.
Ciò
rammentato, veniamo al titolo di questo
intervento. Quali sono le due fondamentali missioni del governo Draghi ? Finora
all’insperato e responsabile nuovo posizionamento delle forze politiche, primo
grande ed imprevedibile effetto dell’iniziativa di Mattarella, ha corrisposto
uno stile ed un’azione di governo fattivi e concreti, lontani da
spettacolarizzazioni paternalismi.
La
stima internazionale di cui gode il Presidente del Consiglio si è espressa in
autorevolezza ed immediata centralità nel consesso europeo, mentre lo spread
sui bund decennali tedeschi è sceso ai minimi dal 2011.
Ma
due grandi questioni, diverse fra loro, dominano il campo e affrontarle e
risolverle è la principale missione di questo governo. La prima è la pandemia,
che va contrastata con una efficiente campagna di vaccinazione.
I
tempi di approntamento dei primi vaccini validati sono stati eccezionalmente
rapidi e questa grande opportunità non può essere sprecata dalle carenze
europee in materia di approvvigionamento e dalla negativa eredità della
gestione vaccinale da parte del governo Conte. Qui Draghi si sta muovendo bene
ed il nuovo tandem Figliuolo Curcio pure, per cui è lecito aspettarsi che,
superati alcuni “colli di bottiglia” con le opportune iniziative, tutte le
regioni, e non solo alcune, approdino al livello operativo necessario perché la
vaccinazione di massa si realizzi entro
l’estate e la pandemia sia fermata.
Ma
c’è un secondo e gigantesco problema che deve essere risolto: il Recovery plan
non potrà essere progettato e soprattutto attuato senza una profonda
modifica dell’amministrazione pubblica,
ingessata da procedure con finalità formali
e non operative. La mortificazione della funzione dirigenziale, i mille
labirinti della normativa ingigantiti da una legislazione tracimante ed
inapplicabile (anche con i famigerati decreti attuativi mancanti che rendono molte
leggi inattuate ed insieme ostative), il primato della forma e del controllo preventivo senza
alcun interesse per la finalità pratica del procedimento amministrativo sono
mali assoluti che impediscono l’efficacia dell’azione pubblica. Aggiungiamo le improvvide
incursioni della magistratura inquirente, i tempi lunghi di quella giudicante,
la debordante produzione legislativa e regolamentare ed avremo un quadro
descrittivo per difetto di una vera Caporetto in atto.
Il
professor Cassese ha indicato molte volte la lunga strada per uscire
progressivamente da questo disastro, a cominciare dalla valorizzazione delle
competenze che ci sono, ma sono mortificate.
E’ ora chiaro che senza un progetto di riforma
che dia da subito risultati, il Recovery plan resterebbe un sogno inattuato.
L’ha spiegato con chiarezza il ministro della transizione ecologica Roberto
Cingolani durante un webinar di Ispra e Snpa, come riporta “Repubblica” del 17
marzo: “Noi pensiamo a fare appalti perfetti, carta perfette, poi nessuno va a
vedere se la cosa funziona”.
E
ancora: “Quando io sono entrato nel ministero della Transizione ecologica, ho
scoperto che la definizione di tecnico è giurista…Se io vado in ospedale e mi
presentano 450 giuristi e ho l’appendicite, mi permettete di dire che non è
questa la definizione di tecnico? .. Noi pensiamo a fare appalti perfetti,
carte perfette.. ma riusciamo a fare ogni anno il 10% di quello che annunciamo
e se capitasse con il Pnrr sarebbe catastrofico, non riusciremmo a presentarci
con le fatture da rimborsare in UE, per così dire”. E quindi: “Dobbiamo
inventare qualcosa di completamente nuovo.. Il nostro meccanismo è così
complesso che rimetterlo in sesto e semplificarlo potrebbe essere troppo
difficile.. non credo sia sbagliato dire che è l’ultima possibilità che
abbiamo.”
Valerio
Valentini sul “Foglio” del 23 marzo: “nello staff di Mario Draghi sanno bene
che il provvedimento..che riguarda la semplificazione normativa è una delle
pietre angolari della complessa costruzione del Recovery”. Il ministro delle
infrastrutture Enrico Giovannini, sta promuovendo con Renato Brunetta un lavoro
di sfoltimento delle norme che riguardano gli appalti. E ha detto: “.. se in
media, per un’opera stradale, per il solo rilascio delle autorizzazioni
impieghiamo 44 mesi, i soldi del Recovery che vanno spesi entro il 2026 e
rispettando scadenza precise rischiamo di non vederli neppure arrivare”.
“La
soluzione su cui Giovannini col suo tavolo di lavoro sta ragionando.. prevedere,
attraverso un decreto da varare nel giro di un mese, una semplificazione delle
norme “sartoriali”, che riguardi i progetti inclusi nel Pnrr; e parallelamente
proporre al Parlamento un testo che preveda di estendere, in tutto o in parte,
quelle stesse semplificazioni alla normativa ordinaria, in una riforma più
strutturale. “Dobbiamo sfruttare il Recovery come una buona occasione di
superare i nostri vizi”, ripete il ministro ai suoi collaboratori”(Valentini).
Ecco
le due missioni che il governo Draghi deve compiere, entrambe, in modi diversi,
decisive del nostro futuro. La prima è impegnativa, ma realizzabile con le
significative forze messe in campo e con l’unità fattiva dell’Europa. La seconda obbliga a misurarsi
ed a vincere negatività ed inerzie che da cinquant’anni hanno progressivamente
paralizzato la mano pubblica . E’ un appuntamento storico molto arduo, ma che
l’Italia non può disertare.
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