Di elezioni ed altre storie, di Giorgio Armillei
Come si sforza di spiegare ripetutamente in questi ultimi
giorni Stefano Ceccanti, la politica parlamentare si trova in una sorta di
“semestre bianco” di fatto. In altri termini, per la combinazione di diversi
fattori, dai tempi tecnici per un eventuale scioglimento anticipato del
parlamento con conseguenti nuove elezioni, al già indetto referendum
costituzionale confermativo per finire con i tempi per l’attuazione delle nuove
disposizioni costituzionali sulla riduzione del numero dei parlamentari,
risulta impossibile votare prima di settembre 2020.
Il che significa una sola cosa: il deterrente dello
scioglimento che serve a razionalizzare il comportamento dei parlamentari,
impedendo scorribande di clan e piccoli gruppi, deterrente politico di cui nel
nostro sistema dispone il Presidente della Repubblica - la forma di governo italiana
è di tipo parlamentare a correttivo presidenziale - non è azionabile. Una
specie di oggettivo “tana libera tutti” che allarga enormemente gli spazi di
manovra non contenuti dal rischio elettorale. L’unico rischio è quello di “farsi
male da soli” in parlamento, perdendo forza anziché conquistandola: le reazioni
previste degli elettori sono invece in stand by.
Un quadro di pura politics, si potrebbe dire, dal quale
scaturiscono due ordini di conseguenze. Un primo guarda ai fatti, un secondo
alle prospettive. Stando ai fatti, visto che di politics e solo di politics si
parla, non si capisce bene perché sul tema della prescrizione ci si affanni a
voler dimostrare a tutti i costi che la riforma Bonafede emendata e corretta
sia una buona riforma. Così non è. La confusione tra prescrizione come rinuncia
liberale alla pretesa punitiva dell’apparato statale in ragione del trascorrere
del tempo da un lato, e l’efficientamento gestionale dei procedimenti penali
dall’altro, continua ad essere alimentata allo scopo di conseguire solo ed
esclusivamente un obiettivo di politics: tenere in piedi la maggioranza e
impedire una crisi di governo. Quanto alla policy, tutto sommato sarebbe meglio
lasciar perdere ed evitare di difendere l’indifendibile.
Guardando alle prospettive, torna invece rilevante la
questione delle policy, in un intreccio per la verità ancora una volta tutto di
politics con il blocco dello scioglimento. Se “tana libera tutti” è non si
capisce perché il PD non porti sino in fondo la pretesa di veder rispettati i
suoi orientamenti di policy in materia di giustizia, andando a vedere le carte
dell’alleato. Se in altri termini non c’è nessun pericolo elettorale, né in
termini di ridimensionamento parlamentare né in termini di resa all’avversario
leghista che si suppone pronto alla vittoria, allora non dovrebbe essere
irrazionale porre il M5s di fronte alla “linea rossa” di una politica della
giustizia liberale e costituzionale.
Nulla di tutto questo sta accadendo. La “linea rossa” è stata
tranquillamente oltrepassata a partire dal 1° gennaio 2020 senza conseguenze
per le politiche del populismo giudiziario del governo Conte uno. Agitare la
minaccia, come molti nel PD fanno, del movimentismo renziano appare
irragionevole e inappropriato. Irragionevole perché proprio in virtù dello
scioglimento impossibile, la libertà di manovra è a disposizione di tutti.
Inappropriato perché alla fine è il solo PD a sopportare l’onere di una policy
(quella sulla giustizia, ma si potrebbe tranquillamente estendere ad altro il
ragionamento) non coincidente con i propri orientamenti e con quelli del suo
elettorato. Insomma, un alibi.
C’è un “a meno che” con il quale rendere ragione di questa
apparente irrazionalità. Ed è un “a meno che” molto più semplice di quanto si
possa immaginare. A meno che la gran parte dei parlamentari del PD e della
segreteria Zingaretti non abbia gli stessi orientamenti del M5s, un po' per
convinzione (il lato oscuro del berlinguerismo riemerso con tutta evidenza in
occasione del ventennale della morte di Craxi) un po' per convenienza, o per
una supposta convenienza elettorale a inseguire il M5s sul suo terreno. Quando
invece basterebbe leggere con attenzione, per dirne una, i dati sulle misure
cautelari e sulle ingiuste detenzioni rilasciati dal Ministero della giustizia
nella sua relazione annuale per capire dove sono gli interessi degli elettori,
sollevando il velo della narrazione populista.
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