Da azionisti a centristi

Con invidiabile puntualità tornano alla ribalta i conservatori, quelli per cui il processo di revisione costituzionale si presenta quanto mai rischioso per la democrazia e difendere questa costituzione significa mettere in piedi la resistenza più efficace al probabile tentativo di Berlusconi di non abbandonare la scena politica. La costituzione insomma come arma di una parte contro un’altra, dove la seconda è beninteso invariabilmente accusata di fare strame del testo costituzionale. Un assaggio di questa posizione è nell’intervista di Gustavo Zagrebelsky su La Repubblica di lunedì: questa costituzione può guarire l’Italia, altro che riforme della costituzione. Tre in ordine le considerazioni da fare. Cominciamo dai contenuti. Riformare la costituzione significa per Zagrebelsky attaccare il suo essere parte di un più largo mito fondativo, occultare con deboli argomenti sull’efficienza decisionale la sua componente passionale, quella che ne cementa i contenuti con gli altri cardini della sorgente storico politica della Repubblica. Immediata la ricaduta guiridica: non si può distinguere tra prima e seconda parte della costituzione. Neppure per sostenere che se la seconda non funziona anche la prima si appanna. La costituzione è un’unità sistematica, riformare la seconda parte prestando ossequio alla prima significa così ridurre funzionalisticamente un cambiamento epocale, l’elemento passionale della costituzione direbbe Zagrebelsky, a un mero accorgimento tecnico. Significa trasformare la democrazia italiana in un’oligarchia. Non basta a Zagrebelsky la copiosa letteratura politologica che mette a confronto assetti costituzionali e rendimenti delle democrazie, mostrando come quelli consensualistico proporzionalistici, il cuore di ciò che Zagrebelsky difende, alla lunga producono democrazie deboli e inefficienti, quelle sì preda delle oligarchie dei partiti e dei gruppi di interesse. Non basta la convinzione degli stessi costituenti che sulla seconda parte, e in particolare sulla forma di governo, le cose dovessero prima o poi cambiare, dall’ordine del giorno Perassi all’intervista in cui persino Dossetti riconosceva l’eccesso di garantismo della costituzione. Zagrebelsky, con un filo di sorprendente formalismo, dichiara che la costituzione non si tocca, meno che mai con proposte che a suo avviso ne muovono la seconda parte in direzione opposta rispetto alla prima. Passiamo agli obiettivi. Zagrebelsy tenta a più riprese di aggirare la questione che invece torna visibilmente a galla. Difendere oggi con questi argomenti l’intangibilità della costituzione, anche se attraverso il tortuoso percorso del legame tra la prima e la seconda parte, è innanzi tutto un’operazione che entra a gamba tesa nell’equilibrio dei rapporti di forza politici. Inutile nascondersi dietro un dito. L’obiettivo è nemmeno poi tanto difficile da individuare: intralciare il disegno di una sinistra democratica, a vocazione maggioritaria, in grado di esprimere una proposta di governo che abbracci aree politiche e culturali diverse e anche distanti. E che quindi richiede una democrazia efficiente e governante. L’azionismo cultore del mito della costituzione è l’ispiratore di questo obiettivo. L’egemonismo della vecchia cultura della sinistra italiana ne è il contenitore. Sotto i suoi colpi cade inevitabilmente anche il faticoso, a tratti incerto, esito della Commissione dei saggi per le riforme costituzionali, comunque lo si giudichi non certo incline alla conservazione della costituzione. E funzionale, almeno nelle intenzioni, al definitivo consolidamento di un assetto maggioritario e bipolare. Oggetto in questi giorni anche di sgradevoli manovre mediatiche. Finiamo con gli effetti. Forse dovremmo dire effetti non voluti. Zagrebelsky e la sua area politica, soffrono in modo particolare la politica delle larghe intese: ne denunciano la compromissione con la cultura costituzionale del centrodestra e il pericoloso effetto di legittimazione delle peggiori eredità del cattivo bipolarismo italiano. Ebbene la loro resistenza ai cambiamenti, il loro conservatorismo costituzionale sono in realtà il più efficace viatico alla stabilizzazione delle larghe intese che da temporanea condizione di eccezione, giustificata dalla necessità di definire un nuovo quadro costituzionale, rischiano di diventare un assetto nel medio periodo semipermanente. Con soddisfazione dei nostalgici del proporzionalismo e del governo spartitorio. Altro che purezza azionista: il 12 ottobre rischia di essere la giornata del neocentrismo.

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